Dubito vi siano mai stati significativi rapporti tra le nostre Brigate Rosse e la National Rifle Association (Nra), la poderosa, anzi, la tenebrosamente onnipotente lobby delle armi negli Usa. O, ancor meno, tra le Brigate Rosse e quella molto consistente fetta del Partito Repubblicano che, della Nra, è da tempo l’ossequiente  portavoce  politico. Ma certo è che proprio al più macabro e reiterato degli slogan delle Br – “mai più senza fucile” – ho pensato quando sugli schermi televisivi sono apparse le prime immagini del massacro di Denver. Perché alle Br? Perché facile (quasi lapalissiano) era, mentre ancora non s’erano contati i morti, prevedere quale sarebbe stata la reazione della Nra; e soprattutto perché ancor più facile, mutatis mutandi  – vale a dire, cambiando la parola “fucile” con “concealed weapon”, arma non alla vista – era cogliere la quasi perfetta analogia tra questa reazione ed il vecchio grido di guerra dei brigatisti. Per questi ultimi il “fucile” era, naturalmente, quello dalla cui canna (Mao dixit) nasce il “potere”. Per la Nra e per i suoi seguaci – non pochi dei quali, per mia grande sorpresa, sono assidui lettori (e commentatori) de “Il Fatto Quotidiano” – la “concealed weapon”, o meglio il possesso generalizzato di armi, è l’unica accettabile cura, una cura a tutti gli effetti omeopatica, contro orrori che il possesso di armi va, con intensità e frequenza sconosciute in altre latitudini, provocando negli Stati Uniti d’America.

In sostanza: se tutte o, almeno, una buona parte delle persone che si trovavano nel cinema di Denver dove la strage s’è consumata – magari non i bambini presentatisi alla prima travestiti da Batman, ma di certo i genitori che li accompagnavano – avessero avuto a propria disposizione un’arma da fuoco con la quale abbattere l’attentatore, le conseguenze di questa “tragedia della follia” sarebbero state molto più limitate. Questo sicuramente dirà – o forse già avrà detto quando questo post sarà on line – la National Rifle Association. E questo è sicuramente stato quello che la NRA è andata dicendo, con crescente aggressività, da 13 anni a questa parte. Ovvero: da quando la strage della Columbine High School (20 aprile 1999, 15 morti), consumatasi sempre qui, in Colorado, era per un breve attimo parsa aprire le porte ad un razionale dibattito sui tragici effetti della diffusione di armi da fuoco negli USA. Mai più senza “concealed weapon”. Armatevi e, senza andar troppo per il sottile, uccidete chi vuole uccidere. Più armi contro le armi…

 E la cosa tragica – ancor più tragica, forse, della conta dei morti nel cinema di Denver – è che i sostenitori di questa tesi stanno, a dispetto dei fatti, vincendo. Anzi: già hanno vinto, rafforzandosi di strage in strage (la più grave: quella della Virginia Tech, 16 aprile 2007, 33 morti; la più recente – 8 gennaio, 2011, sei morti, tra i quali una bambina di nove anni – quella di Tucson contro il comizio della deputata Gabrielle Gifford, rimasta gravemente menomata).

Qualche fatto per meglio capire. Dopo la strage di Columbine – consumata da due studenti, Eric Harris e Dylan Klebold, con armi da guerra comprate, come fossero un paio di scarpe, in uno degli innumerevoli “gun show” – fiere itineranti delle armi, che si tengono in tutti gli Stati Uniti – s’era posta, come minimo denominatore della razionalità e dell’umana decenza, la necessità di chiudere il “loophole”, il buco legale che aveva reso possibile la mattanza. Vale a dire: il fatto che i gun show possono vendere armi senza controlli di sorta, neppure quelli modestissimi (verifica istantanea dell’età e dei precedenti criminali e psichici dei compratori) stabiliti dalla legge Brady (passata nel 1993, regnante Clinton e con entrambe le camere a maggioranza democratica, dopo un’epica battaglia contro le truppe della Nra). Orbene: non solo questo buco non è stato mai serrato, ma molti altri ne sono stati in questi anni aperti.

La legge del ’94 che aboliva la vendita d’una serie di “armi d’assalto” – tra le quali quelle usate nella Virgina Tec ed a Tucson – è stata lasciata scadere senza neppure una lacrima d’addio, nel 2004. E molte altre leggi hanno aperto, in ormai 36 nei 50 Stati dell’Unione, le porte alla libera “portabilità” delle armi da fuoco. Ormai in una molto rilevante parte d’America, chi possiede armi le può portare ovunque: nelle scuole, in chiesa, nei parchi nazionali, in discoteca. E già la Nra va spingendo – con buone possibilità di successo – un’altra legge, questa volta federale, che assegna a tale portabilità un valore “universale”, analogo a quello delle patenti di guida. Ovvero: se uno viene da uno Stato dove è consentito portare “concealed weapons”, “concealed weapons” può portare ovunque, anche laddove la legge locale lo proibisce. Può portarle e può naturalmente – se no, che gusto c’è? – liberamente usarle ogniqualvolta si senta in pericolo. Poiché proprio a questo provvede un altro progetto legislativo firmato dalla Nra, già approvato in Florida (ricordate il caso Zimmerman-Trayvon Martin?) ed in altri 23 Stati . La legge “Stand Your Ground”, da molti del tutto legittimamente ribattezzata “prima spara e poi fai domande”…

E qui mi fermo. Ma la storia continua. Anzi, in qualche misura proprio qui comincia. Ed io tornerò prestissimo sull’argomento.

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