La scarsa etica e deontologia professionale delle agenzie di pubblicità italiane è cosa nota. Sull’argomento però trovi sempre qualcuno che cerca di minimizzare dicendo che queste cose avvengono dappertutto, che non è affatto una “tara tipica italiana” e che comunque non ci si può fare niente. Ma qui stiamo parlando di uno dei settori trainanti dell’economia e le condizioni di salute di quest’ultima si vedono anche da quello che accade in pubblicità.

Un esempio? L’ultima gara per l’assegnazione del budget di comunicazione delle Poste Italiane. La gara si è svolta con modalità a dir poco scandalose ma non da parte del committente: da parte delle agenzie che hanno partecipato. Due erano i lotti in palio: 3,4 milioni di euro in 3 anni per la comunicazione di BancoPosta, e 2 milioni di euro in 3 anni per la comunicazione istituzionale di Poste Italiane. Per il primo hanno partecipato Young&Rubicam e Ogilvy&Mather: ha vinto la Young proponendo un fee del 3,9%. Per il secondo hanno gareggiato Ogilvy&Mather, Mc Cann Erickson, TBWA\Italia e Saatchi&Saatchi: ha vinto McCann proponendo un fee dell’1,95% e listini scontati del 12%.

Facendo un paio di calcoli, vien da chiedersi come possano queste agenzie lavorare per tre anni alle condizioni che hanno proposto. Non c’è il tempo/uomo necessario e nemmeno le risorse per garantire un servizio all’altezza di ciò che un grande cliente può richiedere. La questione è: fino a che punto si può sputtanare il proprio lavoro e quello degli altri giocando al ribasso? C’era una volta la Saatchi & Saatchi che arrivava a lavorare perfino gratis pur di dimostrare che nonostante la crisi continuava a prendere clienti. Ma con questa irresponsabile strategia per promuovere la propria immagine contribuì a distruggere il mercato. Oggi, questa forma di malcostume è ormai generalizzata.

Il Governo si disinteressa totalmente dell’argomento. Assocomunicazione nicchia. Gli unici che hanno aperto bocca sono Annamaria Testa e Massimo Guastini, Presidente dell’Art Directors Club Italiano, con questa lettera. Troppo tardi?

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