Vanità delle vanità è quasi pronto. Forse non ancora per il Festival di Venezia, ma oramai anche il terzo lungometraggio del regista bolognese Giorgio Diritti vedrà la luce dopo che la produzione ha affrontato una parte di riprese in Brasile e un’altra in Trentino.

Lontano dalla sua Bologna, e dall’Emilia Romagna, Diritti si trova magnificamente a partire da quel Il vento fa il suo giro girato nel 2005 nella piemontese Valle Maira. Film che sabato 21 luglio alle 21.45 verrà proiettato in Piazza Maggiore per Sotto le stelle del cinema, su uno degli schermi oramai più importanti d’Europa.

“Fu un’impresa controcorrente, un’avventura difficile, ma stimolante”, racconta Diritti al fattoquotidiano.it – un’avventura possibile però perché ci sono state persone che ci hanno creduto. Prima di tutto i componenti della troupe tecnica che hanno investito parte della loro vita credendoci fino in fondo. Un’esperienza affascinante professionalmente e a livello umano, al di là dei tanti no che ricevemmo all’epoca dal ministero della cultura e dalla Rai”.

Una modalità ripetutasi anche nel grande salto con L’uomo che verrà e per Vanità delle vanità

“E’ la caratteristica principale del mio lavoro che si sposa col fatto che mi è difficile immaginare oggettivamente i miei progetti senza che siano caratterizzati dalla condivisione del territorio in cui vado a girare”.

Il vento fa il suo giro (girato in Piemonte), L’uomo che verrà (con robusti esterni girati in Toscana) e Vanità delle vanità (Brasile e Trentino), non sono stati girati in Emilia Romagna. Al di là delle scelte estetiche, produttivamente di cinema in regione non se ne riesce più a fare?

“Io seguo da un lato le storie che sento vicine e dall’altro lato in ambito regionale vengono fatti investimenti culturali in molte direzioni ma con scarsissima sensibilità rispetto al cinema. Ormai sono anni che si parla di una costituzione di un fondo regionale, di una fondazione, di meccanismi economici con una film commission che possano garantire lo sviluppo del cinema.  Ma al di là delle solite riunioni, con gli addetti ai lavori e i rappresentati dell’amministrazione, si fatica a vedere un vero cambiamento all’orizzonte. Poi diventa una scelta politica strana. Non so, ero convinto che con questa amministrazione fosse sinceramente la volta buona. Circa un anno fa, c’era stata un’assemblea con una forte partecipazione dove sembrava fatta per la creazione di un fondo comune di un sostegno al cinema. Il tempo passa e nulla accade”.

La politica può ancora fare qualcosa per la produzione cinematografica sul nostro territorio?

“Io immagino la politica come qualcosa che è al servizio dei cittadini e si preoccupa di rendere migliore la società in cui viviamo. Quindi in questo la formazione, l’educazione, la cultura sta ai primi posti. E’ un sogno forse. Certo, in Italia viviamo l’emergenza per disastri combinati nel passato, ma comunque da qualche parte dobbiamo seminare valori che non siano solo quelli del profitto, dell’arraffare, dell’egoismo, nelle nuove generazioni”.

Spesso si dice che arte e cultura non fanno Pil…

“Non è vero. Ma anche questa è, paradossalmente, una questione culturale. All’estero sono un motore dell’industria e del benessere. Mentre in Italia chi lavora in ambito artistico sembra uno che non ha voglia di lavorare e si dice sempre che mangia a sbafo coi soldi dello stato”.

Di certo tu non hai usufruito di tanti fondi statali per girare i film…

“Diciamo che la maniera migliore per produrre è usare una sorta di collage produttivo europeo, come ho già fatto per L’uomo che verrà e per il nuovo film”.

Uno dei tuoi principali supporter è stata la Cineteca di Bologna, però con la sua trasformazione in Fondazione non c’è stato il tanto atteso supporto alle produzioni. E’ un’occasione persa?

“Sì, anche se dipende sempre dal come. Io dico sempre che con un coltello puoi tagliare il pane e anche una persona. La compartecipazione potrebbe essere ancora una preziosissima risorsa. La Cineteca ha sinergie con i laboratori di mezzo mondo e rimane punto di riferimento di fondazioni che gravitano attorno a Martin Scorsese e agli eredi di Chaplin, alle major francesi ed europee. Tutto questo mondo di relazioni è qualcosa che si può trasformare in partecipazione produttiva passando attraverso di loro. Ricordiamoci che all’estero le cineteche hanno compartecipazioni nelle produzioni locali. Ma nel momento in cui si tappano chance di sostegno non si fa una buona cosa. Ero in Brasile. Penso di aver perso alcune puntate. Da fuori si è percepita solo confusione”.

L’aspetto del sostegno pubblico stralciato è passato inaspettatamente sotto silenzio…

“E’ vero. Ma più che altro non capisco qual è stato il terrore che ha spinto i mie colleghi emiliano-romagnoli a voler evitare che nascessero queste logiche di produzione. Ripeto: ero a girare il film in Brasile, ma con la mia fantasia non sono riuscito a capire il perché di questa posizione”.

Due ottimi “esordi” emiliano romagnoli come I giorni della vendemmia e Formato ridotto, li hai visti?

“E’ stato un anno di lunga assenza da Bologna. In questi giorni rimarrò qui e proverò a mettermi in pari. Stasera sempre in Piazza Maggiore danno Formato ridotto. Lo recupero”

Oltre a Il vento fa il suo giro domani presenterai anche il documentario Genus Bononiae Musei nella città…

“E’ un documentario propositivo, sulla valorizzazione del progetto museale di Bologna creato dalla fondazione Carisbo. Un lavoro fatto soprattutto in funzione di stimolo per il turista che viene dall’estero”

L’afflusso di ragazzi che vengono a studiare al Dams per poi fare cinema di mestiere sembra non arrestarsi mai, nonostante le aspettative siano sempre più frustrate dai modesti risultati. Cosa consiglieresti di fare, o non fare, a chi si vuole approcciare a questo lavoro partendo da Bologna?

“Oltre alla determinazione, di fronte a tanti no, bisogna allontanarsi da qui. E soprattutto, lo do come suggerimento personale: non andare a Roma. Perché se si ha voglia di raccontare il mondo dal proprio punto di vista, il sistema romano ti uniforma. Oramai lì si producono audiovisivi solo come sistema industriale e l’identità e l’originalità vengono modificate. Sovente si viene annientati”.

Via da Roma per andare dove?

Parigi e la Francia, per esempio. Diventa interessante ragionare in ottica di coproduzione internazionale. Trovare un produttore non grandissimo in Italia poi le altre risorse all’estero e fare sì che un progetto abbia una dimensione internazionale senza fermarsi all’ambito locale è l’unico modo per fare quel cinema in cui si crede”.

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