Rossella Urru è libera, presto sarà a casa: W Rossella, che in questi nove mesi di paura, spesso di silenzio, talora di false speranze, è stata nel cuore e nei pensieri di tutti noi. Rossella non era una turista del rischio, andatasi a cacciare in una situazione pericolosa per un misto d’incoscienza e d’insipienza: a 30 anni, è una persona che ha scelto di essere utile al proprio prossimo, una cooperante esperta e appassionata, da due anni in Algeria con il Cisp, il Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli. Al momento del sequestro, era nel sud del Paese, in un campo di profughi saharawi, una di quelle cause disperate calata nella memoria della mia generazione, anche se il tempo è passato e uno non si ricorda neppure bene la storia della gente nel deserto tra Marocco e Algeria.

Rossella è libera, presto sarà a casa. La soddisfazione, la gioia, il sollievo sono di tutti; e tutti li esprimono, dal presidente della Repubblica al premier al ministro degli Esteri, alle autorità d’ogni grado e d’ogni credo. La gente di Samugheo, il suo paese, in provincia di Oristano, suona le campane a festa ed espone uno striscione nuovo, ‘Liberata’, una constatazione, una certezza, al posto di quello vecchio, ‘Libera’, che era una speranza, un appello. Siamo tutti contenti perché Rossella – lo sentiamo, lo sappiamo, l’abbiamo vista in questi mesi nelle foto dal campo – è, come dice il ministro della cooperazione, Andrea Riccardi, “una figlia dell’Italia migliore”.

Rossella è libera: per lei, è finita bene. La memoria va a Franco Lamolinara, l’ingegnere di Gattinara ucciso nel marzo scorso, con un altro ostaggio britannico, nel nord della Nigeria, durante un blitz fallito delle forze di sicurezza locali e inglesi, che avevano voluto tentare un’irruzione nel covo dei sequestratori, mentre i servizi italiani stavano trattando la loro liberazione. E l’ansia corre a Giovanni Lo Porto, siciliano, cooperante anch’egli, catturato il 19 gennaio con un collega tedesco nel Punjab, in Pakistan, da allora nelle mani –pare- d’un gruppo di talebani: è l’unico italiano nel Mondo attualmente sequestrato.

Nelle cronache, la soddisfazione, la gioia, il sollievo per Rossella s’intrecciano con l’interrogativo scontato in questi casi: c’è stata trattativa? è stato pagato un riscatto? E scatta l’ipocrisia rituale: nessun riscatto, nessuna trattativa. Ora, io non ho idea se vi sia stato negoziato e se sia stata pagata una somma o altro, ma certo non troverei né sorprendente né scandaloso se ci fosse stato riscatto e baratto, soldi o prigionieri. Capisco che si mantenga il riserbo sul quanto e sul come, ma perché non volere ammettere quella che appare un’evidenza? Nelle vicende degli ostaggi, si sa che americani e britannici tendono a non trattare, mentre gli altri, tedeschi e francesi, spagnoli e italiani, ma anche giapponesi e coreani, quando tocca a loro, danno la precedenza alla salvezza del sequestrato piuttosto che alla salvaguardia dei principi.

Tanto più che le bugie, anche quelle non necessarie, anzi forse soprattutto quelle, hanno le gambe corte: secondo i mediatori del Burkina Faso, Rossella e i due cooperanti spagnoli rapiti con lei e trattenuti – pare – da gruppi in combutta con al Qaida sono stati liberati in cambio di tre estremisti islamici, due detenuti in Mauritania e uno in Niger. Addirittura, se è vera, una storia da intrigo internazionale, dietro cui ci starebbe un lavorio diplomatico e di intelligence di cui andare magari fieri e non da negare.

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