La settimana scorsa è deceduto all’età d 83 anni Federico Coen, figura di spicco dell’intellettualità laico-riformista, dopo una vita dedicata alla cultura e all’impegno politico. Tra i suoi contributi più rilevanti devono essere ricordati la direzione della rivista “Mondo operaio” dal 1972 al 1984 e, dopo la rottura con Bettino Craxi, nel 1984, la fondazione, insieme all’intellettuale dissidente cecoslovacco Antonin J. Liehm, dell’edizione italiana di “Lettera Internazionale”, rivista trimestrale europea di cultura, di cui fu direttore fino al 2009, quando Bianca Maria Bruno – dal 1986 al fianco di Cohen in direzione – assunse la direzione editoriale. Tra i grandi meriti della rivista, l’aver introdotto in Italia alcuni dei protagonisti del Novecento: da Kundera, Szymborska, Brodskij, fino a Edward Said.

Credo che un modo non retorico di ricordare la figura di Federico Coen sia quello di parlare del numero, appena uscito, di Lettera internazionale, il 112 del secondo trimestre 2012, “Donne in movimento”, dedicato al nuovo pensiero femminile.

Come suggerisce, molto bene, Biancamaria Bruno, nell’editoriale introduttivo, quello che colpisce, nella più immediata contemporaneità, è la “ubiquità fisico-mentale” delle donne che consente a queste ultime di “trasformare il dolore in forza per difendere la propria vita e quella di tutti”. “Le donne in movimento” rappresentano una riuscita metafora del ‘protagonismo costruttivo’ che attraversa i movimenti e la riflessione femminile. Le donne che sono dedite alla scrittura ricercano in primo luogo non il riconoscimento o l’oblio del dolore ma “la condivisione”, prima di tutto, con altre: è il passaggio fondamentale per far sì che la crescita individuale e collettiva s’‘inneschi finalmente.

In un saggio molto interessante della rivista, “Donna: nomade e plurale”, di Rosi Braidotti, a un certo punto si può leggere: “Ormai, il soggetto del femminismo non è la donna come altro privilegiato e speculare al maschile, ma piuttosto le donne, in quanto pluralità quantitativa e molteplicità qualitativa che hanno preso le distanze dalla femminilità classica come istituzione e come sistema di rappresentazione. Le donne non si riconoscono più nelle modalità di un soggetto che passa per universale. Esse forse non sono più neanche una ‘lei’ – soggetto femminile – ma piuttosto una molteplicità incarnata, un insieme complesso e contraddittorio, il soggetto di una mutazione autentica”. Quest’idea forte dell’essere-nomade – analoga a quella di ‘rizoma’, che, come chiarisce Eduard Glissant, riesce a mantenere “l’idea di radicamento”, ricusando nel contempo quella di “radice totalitaria” – è al centro di una nuova visione del mondo. Il grande mitologema da abbattere in favore dell’egualitarismo bio-centrico è ancora una volta, come nel caso degli animali non umani, quello antropocentrico. 

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