Abbiamo ormai capito da tempo che gli speculatori che tengono alto il nostro spread con i bund tedeschi, scommettono contro l’euro più che contro l’Italia.

In questo quadro, ogni piccola riforma, come anche ogni taglio lineare cieco qua e là, non servono certo a risolvere il problema, se è lo spread che abbiamo in testa.

Per ridurre lo spread è in Europa che bisogna agire, non in Italia. La proposta iniziale di Monti non era male, in questo senso, posto che non bisogna far sapere ai mercati ex-ante qual è la soglia critica dello spread, differenziandola per paese e magari cambiandola nel tempo. Altrimenti è inutile.

L’Italia deve riorganizzarsi indipendentemente dallo spread, perché su quel fronte può far poco (magari bastasse imbavagliare Squinzi!). Il rapporto tra spesa pubblica e debito da un lato e quello tra tassazione e redditi dall’altro sono entrambi insostenibili.

La soluzione non può essere tagliare draconianamente la spesa pubblica tout court da un giorno all’altro, a seguito di una significativa riduzione della tassazione. Si taglierebbe sempre e solo nei soliti posti: sanità, scuola, welfare. Questo non vuol dire che non ci siano sacche di inefficienza, ma tagliare brutalmente non le eliminerebbe nel breve periodo, mentre priverebbe i cittadini di ospedali, farmaci, scuole, sicurezza. 

La spesa pubblica va riqualificata e, certo, ove necessario tagliata, ma con una vera spending review che ha bisogno di tempi e di incentivi. La tassazione va tagliata perché è diventata insostenibile e disincentivante.

Ma l’unico modo che è rimasto per poter procedere ad una riorganizzazione seria di spesa pubblica e tassazione è riuscire ad abbattere seriamente il debito pubblico. E l’unica, vecchia, via passa da un processo di privatizzazione.

Tuttavia se la privatizzazione è quella annunciata dal Governo (20 miliardi all’anno), si tratta solo di svendita. Come spesso accade nel mondo, si tratterebbe di una privatizzazione per pochi amici che svenderebbe il patrimonio pubblico senza peraltro abbattere significativamente lo stock del debito (condizione necessaria per abbattere la tassazione senza distruggere la spesa pubblica ‘efficace’).

Occorrerebbe avviare un processo di privatizzazione diverso, immaginando un grande fondo strategico nazionale, magari con Cassa depositi e prestiti e con Banca d’Italia dentro (che potrà acquistare azioni in cambio di parte delle proprie riserve auree). Questo fondo dovrebbe emettere azioni a fronte di un basket di patrimonio pubblico e di shares di imprese pubbliche che verranno privatizzati in un tempo medio-lungo alle migliori condizioni di mercato. Solo se un tale basket potrà rappresentare un valore complessivo di oltre 250 miliardi (di future privatizzazioni) l’operazione privatizzazione avrà un qualche senso. Altrimenti sarà una inutile svendita.

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