Se c’è un orpello che riassume i valori e i principi del pensiero borghese, questo è il matrimonio. La necessità di vedere riconosciuto il proprio amore con bolla ecclesiale o con imprimatur civile è, a mio parere, ciò che più di ogni altra cosa avvilisce e squalifica un rapporto di amore. Nulla c’entra con i diritti ma esclusivamente con una convenzione sociale, in calo presso le coppie eterosessuali, e reclamata presso le coppie omosessuali.

Una convenzione sociale che, bonariamente presa in giro da un intellettuale eretico quale Silvano Agosti si merita il giusto appellativo di ‘amorino domesticoì, surrogato di un legame che, in quanto libero fonda le proprie basi sulla scelta quotidiana.

I diritti sono altra cosa; i diritti di una coppia, sia etero o gay, di vedere riconosciuta la possibilità di adottare, la reversibilità della pensione, la possibilità di assistere il proprio caro morente o ammalato. Questi sono i diritti, non certo la presunzione e, peggio ancora, la pretesa di uno stato di suggellare e dare dignità in forma burocratica all’amore tra due essere umani per trasformare la convenzione in convenienza sociale.

Cose che un tempo (un breve tempo) valevano a sinistra, non certo nel Pci partito bigotto e borghese, ma in quella sinistra che pensava ai legami con codici, valori, paradigmi sentimentali altri rispetto a quelli, ingessati, di una società c.d. perbene.

Ed invece oggi assistiamo ad un movimento, trasgressivo nei modi e felicemente innovativo nelle istanze culturali e sociali, appiattirsi su quanto di più illiberale e anacronistico regola il nostro orologio sentimentale.

E’ così bello amarsi, senza che lo Stato ci ficchi il suo puntuto naso…

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