Un serpente di acciaio lungo quasi 700 chilometri, che attraverserà il territorio a più alto rischio sismico dell’Italia centrale. Preoccupa sempre più il progetto della Snam, avviato nel 2004, per la realizzazione di una nuova via del gas per l’Italia: il gasdotto “Rete Adriatica”. Un tubo da 120 centimetri di diametro che da Brindisi arriverà sino a Minerbio (Bologna), seppure spezzettato in cinque lotti. Il frazionamento ha permesso così alla Snam di presentare cinque diverse istanze di valutazione di impatto ambientale (VIA). Un escamotage per evitare un unico procedimento – in cui sarebbero potute confluire tutte le problematiche del caso – nonostante l’impianto sia da considerarsi un’opera unitaria. E non importa se la British Gas, non avendo avuto i permessi per costruire il rigassificatore di Brindisi – per il quale inizialmente il metanodotto era stato concepito –, ha deciso di gettare la spugna e andar via. Il gasdotto si farà ugualmente: “E’ un’opera infrastrutturale importantissima per l’Italia”, dice la Snam.

Ma al contrario di quanto lascerebbe intendere la scelta del nome, derivante dal progetto originario – i “corridoi di passaggio” erano stati individuati lungo la costa –, il gasdotto vedrà il mare (Adriatico) solo per un tratto. Da Biccari (Foggia) in poi infatti “le difficoltà geologiche e un elevato grado di urbanizzazione della costa – comunicano fonti della Snam Rete Gas, contattate da ilfattoquotidiano.it – hanno imposto la scelta di un tracciato più interno”. Dal tratto finale della Puglia, dunque, il “Rete Adriatica” inizierà a inerpicarsi sulle montagne molisane fino ad arrivare in Abruzzo. Motivazioni esigue e semplicistiche quelle addotte dalla Snam, per il comitato interregionale “No Tubo”, che da anni si batte contro il “nuovo” progetto: “In realtà hanno deviato verso l’interno perché lì non hanno trovato alcuna resistenza da parte degli amministratori locali”, denuncia a ilfattoquotidiano.it Mario Pizzola, coordinatore del comitato No Tubo di Sulmona. C’è però anche un motivo economico: “Tra Campochiaro (CB) e Sulmona (AQ) – ammette la Snam – esiste già un tratto del gasdotto Transmed (ndr. la linea che dall’Algeria risale l’Italia) che ha suggerito di sfruttarne il corridoio”.

Considerando che un gasdotto costa circa 2 milioni di euro per ogni chilometro, sfruttare il tunnel abruzzo-molisano vorrebbe dire risparmiare almeno 50 milioni. Inoltre “le spese per le servitù di passaggio sono più basse rispetto alla costa – fa notare il comitato –. La Snam risparmia – attaccano i No tubo – ma scarica sulla collettività enormi costi ambientali, economici, sociali ed umani”. Ed è proprio con il suo ingresso in Abruzzo che l’opera spaventa maggiormente. Da qui in poi infatti il gasdotto cavalcherà praticamente tutta la dorsale dell’Appennino Centro Settentrionale, interessando – direttamente o indirettamente – numerose aree naturali protette: i parchi nazionali della Maiella, dei Monti Sibillini e del Gran Sasso, il parco regionale del Velino-Sirente e 21 aree tra Siti d’Importanza Comunitaria e Zone di Protezione Speciale. Il tracciato coincide inoltre con il progetto “APE” (Appennino Parco d’Europa), un importante programma avviato nel nostro Paese, finalizzato alla tutela della biodiversità e alla promozione di politiche ecosostenibili. “La compatibilità dell’opera – assicura la Snam – è da ascrivere al totale interramento della condotta”. E comunque “alla fine dei lavori – promette – le condizioni naturalistiche e paesaggistiche originarie saranno completamente ricostituite”.

Il problema più grande, però, è quello legato al rischio terremoti. Il metanodotto in progetto si snoda lungo alcune zone sismiche di primo grado (la Valle Peligna, i paesi dell’hinterland aquilano colpiti dal terremoto del 6 aprile 2009, quelli dell’Umbria e delle Marche colpiti nel settembre del ’97 e dell’Emilia ). “Durante i sismi più importanti che hanno interessato l’Italia negli ultimi trent’anni, non risulta che si siano verificati danni alle condotte nelle zone interessate dagli eventi”, taglia corto la Snam. Ma l’esplosione di un metanodotto della stessa società di San Donato Milanese, avvenuto due anni fa in provincia di Cosenza, a causa di uno smottamento di terreno, giustifica l’apprensione delle popolazioni interessate. Specie quella abruzzese, per la quale il rischio è doppio. A Sulmona infatti la Snam costruirà anche una centrale di compressione “necessaria per imprimere al gas la spinta per viaggiare lungo la rete di trasporto”. La VIA per la centrale e il gasdotto Sulmona-Foligno – chiesta dalla Snam l’8 aprile 2009, cioè in pieno sisma – è arrivata nel marzo del 2011. E la Regione Abruzzo ha subito avviato la procedura per il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale. Salvo improvvisamente fare dietrofront: tra ottobre 2011 e gennaio 2012 il Consiglio regionale ha approvato ben due risoluzioni contrarie ai progetti del metanodotto e della centrale. E lo scorso giugno è addirittura arrivata una legge ad hoc: “Per la realizzazione di metanodotti e centrali di compressione connesse, ove essi ricadano in zone sismiche di primo grado o contrastino con il piano regionale sulla qualità dell’aria, la Regione Abruzzo negherà l’intesa al Governo”. Fondamentale in tal senso è stata anche la risoluzione approvata dalla Commissione Ambiente della Camera dei Deputati il 26 ottobre 2011 che “impegna il Governo a disporre la modifica del tracciato”. Provvedimenti che fanno ben sperare, “ci aspettiamo ora che le altre Regioni interessate (Umbria e Marche) seguano l’esempio dell’Abruzzo”, auspica Aldo Cucchiarini (Comitato No Tubo Marche). Ma bisogna far presto: il primo tratto del gasdotto è stato già ultimato, il secondo (quello da Biccari a Campochiaro) ha ottenuto le principali autorizzazioni.

 

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