Quando si parla di soldi si litiga sempre. Pure a Bruxelles, dove le tre principali istituzioni dell’Ue, Commissione, Parlamento e Consiglio, stanno venendo ai ferri corti per la definizione del budget comunitario 2013. A dire il vero ogni anno si bisticcia su quanto gli Stati membri devono pagare a Bruxelles, ma questa volta, complice la crisi economica e le misure di austerità a cui molti governi sono costretti, i negoziati sono particolarmente caldi.

Si tratta del bilancio 2013, ovvero il capitolo di spese che l’Unione europea nel suo insieme effettuerà l’anno prossimo. Questi soldi vengono pagati proporzionalmente dai 27 Paesi membri che attraverso l’istituzione che li rappresenta (il Consiglio) negozia con Parlamento e Commissione europea. Il grosso dei soldi che arrivano a Bruxelles ritorna poi negli Stati membri sotto forma di finanziamenti vari, come i fondi di coesione e quelli strutturali. Ad esempio nel 2012 il bilancio europeo è stato di 147,2 miliardi di euro (141,9 nel 2011), dei quali il 45% destinati a fondi di coesione (promuovere lo sviluppo nelle regioni e nei Paesi più poveri), il 30% a favore degli agricoltori europei, l’11% allo sviluppo rurale, il 6% per progetti extraeuropei e aiuti umanitari e il 5,6% alle spese di amministrazione e personale.

Succede che ogni anno, complice l’inflazione e l’aumento della spesa totale del’Ue, viene accordato un aumento di bilancio. Ed è proprio qui che quest’anno sono volate le sedie. La Commissione, di concerto con il Parlamento, aveva proposto lo scorso aprile un aumento del budget del 6,8% per far fronte anche a tutte quelle promesse di pagamento fatte l’anno passato (l’Ue ragiona per cicli di spesa pluriennali, adesso 2007-2013). Neanche a dirlo, ai rappresentati del Consiglio (quindi degli Stati membri) si sono rizzati i capelli in testa. Anche agli ex come Valérie Pècresse, ministro francese al budget fino a due mesi fa nel governo Sarkozy, che ha detto: “E’ impossibile, assolutamente ingiustificabile e inaccettabile che l’Ue chieda ai suoi Stati membri di tagliare il deficit e le spese interne e allo stesso tempo proponga un aumento di quasi il 7% del suo proprio budget”. Impossibile, secondo il Consiglio, andare oltre un aumento tirato del 2,8%.  

Furiosa la reazione di Commissione e Parlamento, che fanno notare come tagliare il budget dell’Ue equivale a tagliare i finanziamenti che gli stessi Stati membri riceveranno l’anno prossimo per stimolare crescita e occupazione. “Questa posizione contraddice quanto deciso dagli stessi capi di Stato e di Governo lo scorso 28-29 giugno a Bruxelles che hanno stanziato 120 miliardi di euro per la crescita europea”, ha fatto notare il Commissario Ue al bilancio Janusz Lewandowski. In effetti, anche se verrebbe naturale pensare che in tempo di crisi tutti debbano fare sacrifici, viene da se che ridurre l’aumento del budget Ue vuol dire tagliare anche i fondi che ogni anno partono da Bruxelles direzione Roma, Madrid e così via. Ma questo i ministri nazionali lo sanno bene. Ecco allora la contro proposta. Con un pizzico di cinismo, Paesi come Polonia, Repubblica ceca, Ungheria, Romania e Spagna hanno difeso a spada tratta i fondi di coesione, dimostrandosi però un pochino meno interessati agli aiuti umanitari internazionali. Il Consiglio ha proposto infatti di tagliare del 9,75% le spese extraeuropee e di limitare l’aumento delle spese di amministrazione all’1,47% (considerando che l’Ue dovrà preso assumere un bel po’ di croati per accogliere il 28esimo Paese membro). Nero Alain Lamassoure, popolare francese, a capo della commissione parlamentare per il budget (ce n’è una perfino per il controllo del budget) per quello che reputa “un attacco” dei ministri nazionali “al processo decisionale europeo”. Ed ecco che torna d’attualità il tormentone di una tassa europea, uno degli obiettivi del Movimento federalista europeo, secondo il quale l’unione monetaria non è sostenibile senza un’unione fiscale e un bilancio dell’Unione dotato di risorse pari ad almeno il 2% del Pil europeo. Questa possibilità, in effetti, permetterebbe all’Ue di emanciparsi economicamente dai governi nazionali e di rispondere della propria spesa solo ai contribuenti europei.

Ma al momento lo scontro resta tutto a Bruxelles. A sbrogliare la matassa giocherà un ruolo di primo piano il ministro alle finanze cipriota Vassos Shiarly, che mentre il suo Paese ha chiesto 10 miliardi di aiuto all’Ue per salvare le proprie banche, si permette di litigare con il Commissario Ue al bilancio Lewandowski sul bilancio comunitario. “Questa Ue costa davvero troppo”, starà pensando. 

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