Salendo le scale del Dipartimento di Fisica dell’Università La Sapienza di Roma, lo sguardo è rapito dalle foto formato gigante dei laboratori più importanti d’Europa: Ginevra, Grenoble, Frascati. Già, perché l’Italia è tra i 12 paesi che hanno contribuito alla nascita del Cern e ai suoi successi scientifici, dall’acceleratore di particelle (il tristemente famoso tunnel dei neutrini) fino al più recente bosone di Higgs.

La sinergia è stata mantenuta grazie ai quattro laboratori d’eccellenza dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare, da Catania al Gran Sasso, passando da Legnaro e Frascati. Più tutti i ricercatori nei dipartimenti universitari del territorio. Ma a quanto pare le scoperte che possono cambiare la nostra vita non bastano per decidere di investire nella ricerca. E allora ecco che il governo, sulla scia del precedente, taglia l’unico comparto che può rimettere in moto il paese. Di certo la sforbiciata toccata all’Infn ha dell’incredibile: 60 milioni in 3 anni significa mettere in ginocchio l’ente e costringerlo a chiudere laboratori (il Gran Sasso costa 6 milioni l’anno, Frascati circa 8) e sinergie internazionali. La sola Commissione scientifica che si occupa degli acceleratori ha un bilancio annuo di 20 milioni: “L’errore è evidente – spiega Marcella Diemoz, appassionata direttrice della sezione di Roma dell’Infn – il nostro ente è l’unico che anziché spendere il 90% in stipendi per il personale e il resto in ricerca, spende il 55% in emolumenti e con il 45% si dedica agli esperimenti. È evidente che qui è più facile tagliare, ma il problema è la filosofia di fondo con cui si sceglie di farlo”. Dal governo degli accademici gli scienziati si aspettavano un’inversione di rotta: “Siamo più delusi dai tecnici che dai precedenti politici – aggiunge Diemoz – speriamo che il ministro Francesco Profumo non abbia visto questi numeri prima di votarli in Consiglio dei ministri, altrimenti non ci spieghiamo come possa averlo fatto”.

Il presidente dell’ente, Fernando Ferroni, ha scritto a Giorgio Napolitano per chiedere un intervento riparatore. La volontà dell’Infn è quella di fare spending review “ma l’importante è che non si trasformi in una ‘wasting review’ (revisione devastante) – spiega ancora Diemoz – i nostri amministrativi hanno impiegato dieci giorni per compilare le tabelle del ministero. Ci hanno chiesto anche che tipo di carta usassimo. Ma è evidente che non possiamo essere comparati agli altri enti. L’energia elettrica che serve per un acceleratore di particelle (10 milioni l’anno per tutto l’Infn, ndr) non sarà mai la stessa usata per caricare 1000 notebook in un ministero. Quindi se la divisione è pro capite la cifra che spendiamo noi sembrerà spropositata. In più, l’Infn ricorre a duemila ricercatori delle Università, pagati dall’ente, e anche questi non sono stati contati”.

Uno di loro, Daniele del Re, è tornato dalla California, dove guadagnava “esattamente il doppio dello stipendio di Roma” perché “sapevo di poter fare il lavoro che mi appassiona e per il quale sono disposto a sacrificarmi”. Ovvero, come ricorda il sito dell’Infn, “inventare e sviluppare tecnologie innovative, realizzando le misure tra le più precise che l’umanità possa fare”. E non si parla solo di scoperte astratte. Grazie a questa ricerca d’eccellenza è stato aperto un centro medico per la cura dei tumori (CNAO), a Pavia, dove i fasci di microparticelle intervengono sulle cellule con la precisione che una radioterapia non potrebbe avere. In più molte imprese si sono potute specializzare in meccanica di precisione, con un importante ritorno economico. “Non voglio fare facile populismo – spiega Diemoz – ma con i 55 milioni di un aereo F35 potremmo evitare questi tagli, pensate quanta ricerca potremmo fare con i 17 miliardi totali che spenderemo per acquistarli. E quanti cervelli potremmo attrarre”. Per ora sono gli italiani ad andarsene. “I nostri studenti migliori – spiega del Re – perché qui non c’è mercato, non ci sono concorsi e alla fine dobbiamo lavorare con chi resta perché non ha altre offerte. Al netto della didattica che i ricercatori fanno. Io stesso in queste ultime settimane ho dovuto conciliare con fatica l’attività di ricerca sul Higgs con la didattica e gli esami del mio corso, proprio nel momento più importante della scoperta fatta a Ginevra”.

Il Fatto Quotidiano, 12 luglio 2012

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