Stanno arrivando con il contagocce i risultati ufficiali delle elezioni libiche di sabato scorso. Ancora non c’è un dato complessivo sulla divisione dei 200 seggi del Congresso nazionale, che avrà tra gli altri compiti quello di scrivere la nuova costituzione del paese. Secondo le indiscrezioni che circolano sulla stampa araba, ma che non hanno ancora la conferma ufficiale da parte della Commissione elettorale, la vittoria della coalizione National Forces Alliance guidata dall’ex premier Mahmud Jibril sembra essere confermata, con percentuali di voto anche molto alte specialmente nelle principali aree urbane del Paese.

Secondo Al Arabiya, i consensi per il premier “liberale” ben conosciuto in occidente per essere stato il principale volto diplomatico del Consiglio nazionale di transizione nei mesi della rivolta e della guerra civile contro il regime di Gheddafi, sarebbero molto elevati nei sobborghi di Tripoli, e nei distretti occidentali di Misalata, Tarhouna, Zlitan e Khoms. Vittoria per l’Nfa anche a Bengasi, mentre a Misurata, una delle città più martoriate durante la guerra, avrebbe vinto l’Unione per la patria, una forza politica legata a un oppositore di lungo corso. L’agenzia Reuters scrive che sarebbe stata particolarmente deludente, specialmente se paragonata ai successi elettorali in Egitto e in Tunisia, la performance del partito Giustizia e Ricostruzione, legato al ramo locale dei Fratelli Musulmani, e dell’altro partito islamista Al-Watan.

Bisogna tuttavia attendere il dettaglio della distribuzione dei seggi perché il quadro politico è particolarmente frammentato, con almeno 150 partiti grandi e piccoli che si sono presentati alle elezioni. Secondo le proiezioni ufficiose diffuse finora, solo 80 dei 200 seggi andrebbero a figure legati ai principali partiti, mentre i rimanenti 120 sarebbero di candidati indipendenti. Hanan Salah, ricercatrice di Human Rights Watch per la Libia, ha sottolineato – scrive ancora Reuters – che proprio le decisioni individuali dei candidati indipendenti determineranno il “colore” del nuovo parlamento.

Jibril dal canto suo non è tra i candidati e secondo gli analisti questo potrebbe essere un modo per “ipotecare” politicamente la carica di presidente, per come verrà delineata dalla nuova costituzione libica che il Congresso dovrà redigere entro il prossimo anno. I suoi discorsi di questi giorni hanno un tono “presidenziale”. Ieri, l’ex primo ministro ad interim, ha fatto appello all’unità nazionale di tutte le forze politiche libiche e ha ipotizzato una grande coalizione per ricostruire il Paese e dargli una forma politica adeguata alle enormi sfide che si trova ad affrontare. Oggi è tornato a parlare sottolineando come la sua coalizione, Nfa, non sia solo “liberale” ma contenga elementi che abbracciano tutto lo spettro della società libica, compresi gli islamisti.

Continuano intanto le valutazioni positive sull’andamento del voto – nonostante il ritardo nella divulgazione dei dati, dovuto, a quanto pare, alla decisione di tenere un conteggio “centralizzato” a Tripoli, dove sono state depositate tutte le urne elettorali, anche quelle delle province più lontane e isolate. Alexander Graf Lambsdorff, capo del team di osservatori elettorali dell’Unione europea, ha detto che «è notevole il fatto che quasi tutti i libici siano stati in grado di dare il proprio voto liberamente». Gli incidenti che pure ci sono stati, in alcune zone del paese e sono costati la vita a due persone, secondo Graf Lambsdorff «non mettono in discussione l’integrità del processo elettorale nel suo complesso». Giudizi simili anche dagli altri gruppi di osservatori internazionali che hanno monitorato il processo elettorale.

I motivi di tensione, tuttavia, rimangono in agenda e gli incidenti che ci sono stati – come il tentativo di alcuni uomini armati di bloccare quattro sezioni elettorali a Bengasi o le proteste dei lavoratori dell’industria petrolifera nell’est del paese fino al giorno prima del voto – segnalano che i motivi di divisione, e in particolare la “rivalità” tra la Cirenaica e la Tripolitania, le due principali regioni del Paese, sono probabilmente il primo problema che il nuovo parlamento dovrà affrontare. L’altro è il disarmo delle milizie che ancora rimangono attive, nonostante già il governo provvisorio del Cnt avesse fatto del disarmo una delle sue priorità.

di Joseph Zarlingo

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