La sforbiciata alle 107 Province italiane deciso dal Governo in sede di spending review terrà conto di due criteri: l’estensione (probabilmente 3mila km quadrati) e la popolazione (numero di abitanti inferiore a 350 mila). Il processo di revisione prevede però, entro la fine dell’anno, anche una fase di accorpamento (mediante una procedura che vede il governo trasmettere la propria deliberazione con i criteri esatti al Consiglio delle autonomie locali, istituito in ogni regione, che verrà poi approvato dallo stesso Consiglio entro 40 giorni) ma, alla luce della definizione esatta dei parametri, è possibile stilare una prima lista delle Province che potrebbero essere oggetto di taglio.

Le province a rischio sono in Piemonte Vercelli, Asti, Biella, Verbano-Cusio-Ossola, in Lombardia Lecco e Lodi, in Veneto Rovigo, in Friuli Venezia Giulia Gorizia e Pordenone, in Liguria Imperia, Savona e La Spezia, in Emilia Romagna Piacenza, Rimini, in Toscana Massa Carrara, Pistoia, Livorno, Prato, in Umbria Terni, nelle Marche Macerata, Ascoli Piceno e Fermo, nel Lazio Rieti, in Abruzzo Teramo e Pescara, in Molise Isernia, in Campania Benevento, in Basilicata Matera, in Calabria Crotone e Vibo Valentia, in Sicilia Caltanissetta, Enna e Ragusa, in Sardegna Oristano, Olbia Tempio, Ogliastra, Medio Campidano, Carbonia Iglesias.

A questa lista vanno ad aggiungersi le Province delle 10 Città Metropolitane, che spariranno: Roma, Milano, Torino, Genova, Venezia, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria.

“E’ stata ridisegnata l’architettura istituzionale dello Stato sul territorio – ha detto il ministro della Funzione Pubblica Filippo Patroni Griffi – L’Italia, con il taglio delle Province, compie una vera e propria svolta nell’assetto dello Stato. Basta con i microfeudi”. Di quell’architettura, ha spiegato Patroni Griffi, fanno parte sistema delle autonomie (Province, Unione dei Comuni e Città metropolitane) e amministrazioni periferiche dello Stato saranno riorganizzate per dare migliori servizi ai cittadini e ridurre costi e sprechi. “L’Italia, con il taglio delle Province, compie una vera e propria svolta – ha concluso il ministro – nell’assetto dello Stato. Basta con i microfeudi, ora è il momento di una riorganizzazione che deve essere il fulcro per uno Stato nuovo, innovativo, snello e più utile ai cittadini. Per la prima volta nella storia repubblicana si è deciso di ridurre il numero delle Province. Un’operazione che non rappresenta un allontanamento dello Stato dal territorio ma che permetterà di eliminare costosi doppioni”.

E’ peraltro un pezzo di storia italiana quellache sta per essere cancellata dal governo in nome del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dall’Ue: tra le Province che entro l’anno verranno tagliate con un colpo di decreto ve ne sono molte risalenti all’unità nazionale (1861), e addirittura una, Torino, che è ancora più antica (1859), anzi secondo gli storici la più antica, nata sulla scia di un Regio Decreto dello stesso anno (il cosiddetto decreto Rattazzi) che conferiva al nuovo ente una rappresentanza elettiva e un’amministrazione autonoma.

Risalgono invece all’unità d’Italia (1861, e all’epoca in tutto erano 59) 9 Province: Ascoli Piceno, di Imperia, di Benevento, Caltanissetta, Livorno, Macerata, Massa Carrara, Teramo (all’epoca denominata ‘Abruzzo Ulteriore I’) e Piacenza. E’ invece nata nel 1866 la Provincia di Rovigo. Risale al 1923 La Spezia e al 1927 le Province di Gorizia, Enna (ex Castrogiovanni), Matera, Pescara, Ragusa, Rieti, Savona, Terni e Vercelli. Poco più in là nel tempo Asti (1935). Più recenti Pordenone (1968), Isernia (1970), Oristano (1974). Nel 1992 sono nate infine Biella, Crotone, Lecco, Lodi, Prato, Rimini, Vibo Valentia e Verbano Cusio Ossola.

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