Ho letto in questi mesi centinaia di commenti di lettori agli articoli sul femminicidio e vi ho ritrovato clichè che ho spesso contrastato, dato che da oltre dieci anni mi occupo di diritti umani (di donne e uomini, etero, trans e gay indistintamente). Vorrei quindi fare chiarezza sui pregiudizi che a mio avviso animano molte persone in tema di violenza sulle donne, perché le violazioni dei diritti umani sono spesso questione di disinformazione e incomprensione.

Il termine femminicidio (o femmicidio) è ricorrente da anni a livello internazionale per descrivere fenomeni di violenza che interessano molti paesi latini – emblematici i casi del Messico (Ciudad Juarez), della Colombia, della Spagna – e anche altri paesi occidentali, sebbene siamo soliti attribuire ai soli paesi arabi e africani ed a ragioni tribali e religiose il triste primato.

Si parla di femminicidio quando la donna viene uccisa in quanto donna. Non sono casi di femminicidio l’operaia morta sul lavoro, la donna morta in un incidente d’auto o la soldatessa uccisa in guerra, a condizione che l’operaia non sia buttata dall’impalcatura dai colleghi maschi infastiditi ad esempio dalle sue assenze per cure parentali, il frontale non sia causato dall’ex della donna per vendetta e la soldatessa sia vittima di un proiettile in battaglia o di una bomba lanciata nel mucchio e non sia prima stuprata come arma di guerra.

Affermazione ricorrente è “se l’è cercata”, indicando in un comportamento ritenuto “libero” della donna la licenza per il maschio di fare quello che vuole: stuprarla – magari in branco – o ammazzarla di botte. Questo è un atteggiamento maschilista e portatore di cultura della violenza. Purtroppo è un atteggiamento duro a morire, anche perché apparso persino in qualche sentenza.

Affermazione differente, e che va meglio analizzata, è che alcune donne cercano l’uomo violento ovvero vedono benissimo che lo è e ci si mettono insieme lo stesso. Dietro tale convinzione ritengo si annidi una delusione: molti degli autori di tali considerazioni sono infatti uomini miti e colmi di attenzione verso le donne, ma nella loro vita sono stati spesso accantonati dalle ragazze che essi corteggiavano e che hanno preferito un tipo più aggressivo (che non vuol dire necessariamente violento).

Tuttavia faccio notare che la vera brutalità quasi mai si esterna nel periodo dei primi appuntamenti o del fidanzamento (in cui non emergono nemmeno altri difetti, come l’essere pantofolaio o anteporre il lavoro alla famiglia) perché le difficoltà quotidiane sono minime, lei sogna e lui cerca di dare il meglio di sé, mentre qualche accenno possessivo viene vissuto come un segno di passione. I difetti più o meno gravi emergono col tempo, quando finiscono la poesia e l’ansia della conquista, arrivano le responsabilità dei figli e le bollette da pagare, o si perde il lavoro. Allora ciascuno perde i freni inibitori ed esaspera o rivela la propria parte migliore o peggiore, come spesso avviene anche per i malati gravi. Perciò non è accettabile addossare alla donna la responsabilità di una scelta d’amore da pagare fino alle estreme conseguenze.

Va considerato anche che oggigiorno ci sono tanti uomini esasperati perché magari estromessi dalla vita dei figli con una separazione o un divorzio anche se colpevoli solo nei confronti della moglie, per adulterio o trascuratezza per via del lavoro o addirittura incolpevoli. Anche se molte violenze fisiche o psicologiche sono reali, non è insolito che, dopo la rottura, un uomo venga accusato infondatamente di violenze di ogni tipo (così come non mancano le false accuse di stalking) per evitare che gli siano affidati i figli o che il magistrato disponga l’affido condiviso.

Un adultero o un uomo che dopo anni non sopporta più la moglie non deve pagare perdendo i figli, specularmente a quanto avviene per una donna (e i figli non devono pagare l’astio fra i propri genitori perdendo di fatto uno di essi). Difficile che un uomo con una esperienza devastante come la perdita di un figlio per una ripicca sia comprensivo nei confronti delle donne, che vedrà come delle privilegiate dallo Stato quando gratificate con l’affidamento della prole e dalla società quando considerate sempre sicuramente vittime.

Questo non giustifica assolutamente la violenza contro le donne, ma può spiegare l’atteggiamento critico e persino duro di alcuni uomini di fronte agli articoli di commento sul femminicidio e la difficoltà di costituire un fronte unito contro la violenza alle donne.

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