A chi vorrà il passaporto britannico d’ora in poi verrà chiesto chi erano quei Beatles e quei Rolling Stones che tanto hanno cantato e di cui molti hanno cantato. Il ministro dell’Interno Theresa May, una delle punte di forza del governo conservatore e liberaldemocratico di David Cameron, ha voluto questa nuova rivoluzione a ogni costo. L’attuale test per l’ottenimento della cittadinanza è, secondo May, “troppo poco british”. Così, d’ora in poi, ai circa 80mila stranieri che ogni anno provano l’esame verrà chiesto di declamare l’inizio dell’inno nazionale, God save the Queen, di sapere morte e miracoli di Shakespeare, di quale razza sono cani della regina e gatti di ministri e politici di rilievo, chi fosse Lord Byron e che cosa abbia fatto Winston Churchill. Ventiquattro domande a risposta multipla, per superare le quali bisogna anche pagare una tassa di 50 sterline. Se azzeccate, le risposte consentiranno di avere l’agognato libretto, ma prima bisognerà giurare fedeltà alla regina Elisabetta II, ai valori fondanti del Regno Unito e ai principi costituzionali, anche se non esiste una costituzione scritta.

La decisione del ministro dell’Interno, tuttavia, sta creando qualche malumore. Soprattutto fra le associazioni di immigrati, che nel Regno Unito sono ben strutturate e potenti, e soprattutto per quello che dagli esami verrà abolito. Agli stranieri, infatti, non verrà più dato il libretto “Life in the UK”, che conteneva informazioni pratiche su come ottenere benefit e aiuti dal welfare, come pagare una bolletta o come leggere il contatore del gas. Niente di tutto questo, non più, il tutto per un esame più “patriottico” e più incentrato sulla storia e le tradizioni, come comunque avviene anche in altri paesi europei e di altri continenti. Habib Rahman, direttore del Joint council for the welfare of immigrants, un’associazione per difendere diritti e doveri degli immigrati, non ci sta: “La May ci deve ripensare. D’ora in poi verranno insegnate agli stranieri nozioni che raramente useranno. Quello che serve veramente è un approccio più pratico e meno teorico, non ci serve sapere a che età è morto Shakespeare o che la regina ha solo cani di razza corgi”.

E pensare, tuttavia, che quello che ha fatto il Labour nel 2005, introducendo il test, era molto più innovativo rispetto alle procedure in atto in altri paesi. Come gli Stati Uniti, che hanno una lunga tradizione di test “di ammissione”, spesso dalle domande assurde e contorte. Secondo uno studio dell’Unesco sui diritti dei migranti, in Europa gli esami più difficili sono quelli di Olanda, Germania, Lettonia, Lituania ed Estonia. I Paesi Bassi sono stati primi nel scegliere di adottare un esame sull’esempio di quello americano, a fine anni Novanta. E un test molto criticato è anche quello tedesco: 33 domande a risposta multipla, bisogna indovinarne almeno 17 ma spesso si tratta di domande di storia alle quali nemmeno un vero tedesco sa rispondere, che vanno dall’Impero Romano al nazismo, passando per la Repubblica di Weimar. Anche in Italia, per ottenere la cittadinanza, bisogna superare un esame di lingua e cultura generale, dalle domande di storia a quelle di geografia e di politica. Paesi extraeuropei come l’Australia stanno da tempo rivedendo le loro politiche e sono stati attraversati da lunghi dibattiti sull’opportunità dei test. Gli esami non sono liberali, questa la posizione degli oppositori. Gli esami sono necessari in quanto unico modo per dare una base comune di conoscenze ai nuovi venuti, questo pensa chi è a favore.

Così, nel Regno Unito, la prima informazione che gli immigrati dovranno conoscere è che si tratta di “un paese dalla solida tradizione cristiana”. Poi, ancora, dovranno saper rispondere che il Regno Unito ha una “lunga e gloriosa storia”. Infine, dovranno studiare mezzo albero genealogico della casa reale, chi era Charles Dickens e chi ha scoperto il dna. Pochi riferimenti, invece, alla cultura più recente del regno, quasi nessuna domanda va dai Sex Pistols in poi, con buona pace per Spice Girls, Blur, Boy George o campioni dello sport e star del cinema. Cultura britannica, sì, ma niente di troppo nuovo, innovativo o alternativo. La tradizione, da queste parti, se non è tutto è comunque molto, si sa.

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