Per fortuna ci ha pensato la Spagna. Per carità, nulla contro la (complessiva) coraggiosa prova dei ragazzi di Prandelli, promossi a pieni voti. Tantomeno contro lo straripante entusiasmo della gente nelle piazze o l’ambita presa del titolo europeo che, anzi, avrebbe dignitosamente incrementato bottino e palmares tricolore. La buona sorte, però, ci ha esentati da un’inusuale frastuono assordante, talmente rimbombante e incombente che, più di qualcuno, aveva già cominciato a denunciarne l’evidente (controproducente) nocività.

Mi riferisco alla sterile retorica neo-patriottarda del tutto uniti (nessuno unito), del finto neo-nazionalismo di bandiera vinto ai rigori, tipo “stringiamoci a coorte” (non siam pronti a nessuna morte) che, in caso di vittoria italiana, da oggi e per tutta l’estate ci saremmo dovuti subire per monti (intese come montagne), città e spiagge peninsulari. Coprendo il resto, sovrastando ovviamente il tutto, dallo scandalo di Scommessopoli in giù.

Ai più attenti telespettatori (23 milioni), infatti non sarà sfuggita la copertina d’apertura di Rai Sport mandata in onda ieri sera a ridosso di Italia-Spagna, prima del fischio d’inizio del match. Un imbarazzante miscuglione (mai visto prima) di tagli e cuci di immagini diverse e lontane: dai militari (ancora) in Afganistan alle case distrutte dal terremoto in Emilia, dall’alluvione in Liguria a Sandro Pertini e Alberto Sordi, dalla carcasse d’auto di Capaci all’esultanza tedesca di Fabio Grosso, in mezzo Pietro Mennea, Luciano Pavarotti e Alfredo (Dino) Ferrari. Di tutto, di più, come uno spot. Proprio per essere, noi, una volta tanto ‘i più’. Un traghettamento ideale dal calcio verso la politica, dall’efferatezza delle stragi (intrecci ancora nebulosi) ai cataclismi, fino a canzoni e film popolari. Per stringerci insieme forte, forte, vicini, vicini, per fare democraticamente numero, stile all together now (in democrazia, certo, servono sempre i numeri). Un minestrone immaginifico di ampollossità e luoghi comuni senza precedenti che col calcio (e nella finale di ieri, si è giocato a calcio!) non c’entravano niente. Un cervellotico miscuglio di idee nell’immaginario collettivo che, forse, nemmeno lo stratega più illuminato e scaltro del fu Minculpop avrebbe mai potuto partorire per celebrare nell’Istituto Luce i trionfi del ’34 e ’38.

E poi, dulcis in fundo, l’intervista finale (ancora in esclusiva Rai), concessa nel post-partita da un inceppato ed emozionato (l’ha detto lui) Mario Monti: tra spread e goal, tra pressing e rating, il premier fresco di vertice a Bruxelles ha parlato di ripresa e ripartenza economica, con tanto di indicazione per la fuoriuscita da tunnel e crisi. Stasera poi, stessa lunghezza d’onda, tutti al Quirinale, appuntamento sul sacro colle: dinnanzi ai Dioscuri, si replica con la benedizione di Giorgio Napolitano, in versione assoluzione da sconfitta urbi et orbi.

Domandina semplice semplice, facile, facile: ma non si diceva, un tempo, che la politica deve restare alla larga dal calcio? E che il Palazzo (coi suoi derivati) non devono permettersi di strumentalizzare la passione dei tifosi per il football? E che lo sport risponde solo a regole decoubertiane, più che al ripianamento del tessuto sociale? Ricordo bene, ancora nitidamente, certe prese di posizione oltranziste, quasi da immolazione stoica, sostenute dai certi eroici accreditati opinionisti (tuttologi) che ancora vanno per la maggiore, pronti a inorridire davanti a certi atteggiamenti filo-politici di alcune tifoserie o certe dichiarazioni filo-partitiche di alcuni calciatori, rei (secondo loro) di oltraggio e lesa maestà all’impolitico e universale Dio pallone.

Sia mai che, forse, capito l’andazzo del reflusso, visto che l’Italia piange e gli italiani risparmiano pure sui beni alimentari (senza andare in vacanza), qualcuno ha pensato di cavarsela con le gioie sferiche per rivitalizzare gli umori di partecipazione popolare, magari in vista delle prossime tornate elettorali? Sia mai, vero, no? Per fortuna, però, che in finale abbiamo incontrato la Spagna…

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