Il primo a parlarne è stato il Telegraph. E, subito, a cascata, la vicenda è diventata un caso nazionale. Nadine Dorries, parlamentare conservatrice per il seggio del Mid-Berdfordshire, ha messo alle sue dipendenze la figlia Philippa, 27enne e ancora studentessa in legge, che riceve dallo Stato uno stipendio di tutto rispetto. Quasi 40mila sterline annue secondo l’Independent parliamentary standards agency, un’organizzazione per la trasparenza negli uffici parlamentari. Una cifra non confermata dagli uffici della deputata, che, come parlamentare, non è tenuta a fornire dettagli e numeri degli stipendi per la sua forza lavoro. Per un “MP”, member of parliament, impiegare un parente non è un reato, nel Regno Unito. Ma quotidiani e commentatori, ora, sollevano il caso e chiedono qual è il limite fra il consentito e il non consentito, tirando in ballo una questione di “moralità”.

Scatenati anche quei gruppi di pressione come la TaxPayers’ Alliance, la lega dei contribuenti britannici. Il portavoce Robert Oxley commenta: “Lo scandalo dei rimborsi ai politici degli anni passati ha messo a dura prova la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Quindi è giusto che un parlamentare dia un rendiconto preciso e accurato su quanto spende prendendo dalle tasche dei britannici. Non si stupisca la Dorries se il suo elettorato chiede maggiore trasparenza, visto che impiega alle sue dipendenze proprio la figlia”. Le regole sulla trasparenza, nel Regno Unito, furono rafforzate dopo il caso di Dereck Conway, un ex parlamentare conservatore, che aveva messo alcuni figli a libro paga senza fornire dettagli e dare prove del loro lavoro per l’ufficio del padre.

Va detto che comunque le sorti dei politici, nel Regno Unito, sono spesso legate a crimini o semplici malefatte che in Italia passerebbero come “leggerezze” o “imprecisioni”. L’ultimo grande caso è stato quello di Chris Huhne, ministro per l’energia e il cambiamento climatico, che ha dovuto lasciare il governo guidato da David Cameron per l’accusa di aver attribuito un’infrazione alla guida da lui compiuta a sua moglie. Huhne si è sempre dichiarato innocente e il processo è ancora in corso. Ma, secondo le autorità inquirenti, che ora stanno mettendo sotto la lente di ingrandimento tutta la sua vita, comprese le relazioni affettive, nel 2003 il liberaldemocratico avrebbe fatto togliere dei punti dalla patente della ora ex moglie, Vicky Pryce, anch’essa indagata, per infrazioni da lui compiute. Essere sotto indagine, nel Regno Unito, è motivo sufficiente per lasciare l’incarico, anche se si è ministri – e anche molto promettenti dal punto di vista della carriera politica – di un potente governo di coalizione.

Ma c’è anche chi, in Gran Bretagna, è finito in carcere. Come l’ex ministro laburista Elliot Morley, che ha ricevuto una condanna a sedici mesi, poi ridotta a quattro, per un rimborso parlamentare non dovuto. Trentamila sterline per aver gonfiato documenti relativi a un mutuo e per un altro mutuo che in realtà era già stato ripagato. All’atto della sentenza, il giudice Saunders disse: «Morley ha buttato via il suo buon nome e la sua buona reputazione». Anche Morley si dichiarò innocente e vittima di un errore. Ma il Theft Act, la legge contro il latrocinio, è stata per lui implacabile. Così come lo è stata per altri laburisti finiti, due anni fa, sulla griglia della giustizia. Come il parlamentare David Chaytor, 18 mesi di condanna, poi messo ai domiciliari, per dei rimborsi di affitti mai pagati. Lo scandalo dei rimborsi parlamentari ha segnato la coscienza dei britannici negli ultimi tre anni. La società reagisce, le porte del carcere si aprono.

Non che nei decenni passati le cose andassero meglio. Ancora nella memoria dei più anziani è il caso del parlamentare conservatore Peter Arthur David Baker, che nel 1954 fu condannato ed espulso dal parlamento, uno dei pochi casi mai avvenuti, per aver fornito falsa documentazione per un prestito. Baker finì alla gogna, ma anche in quel caso il parlamento seppe reagire e rifarsi un nome. Poi, il sempre sotterraneo dibattito sulla corruzione, mai venuta veramente a galla nel paese. Transparency International UK, un ente di ricerca sulle buone e cattive prassi nella politica, l’anno scorso ha svolto un sondaggio. Secondo il 54 per cento dei britannici la corruzione è aumentata negli ultimi tre anni. E il 48 per cento di essi pensa che il governo non riesca a fronteggiarla. La Metropolitan Police, il corpo di polizia della Grande Londra, ha dei numeri precisi. In tutto il Regno Unito, più di 38mila persone sono implicate nel crimine organizzato. Per un costo, per la collettività, fra 20 e 30 miliardi di sterline.

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