Riprende il nostro viaggio nel mondo della musica indipendente e approdiamo in Piemonte per conoscere un cantautore davvero molto singolare. Ironico. Particolare. Surreale. Basta dare un’occhiata alla sua breve autobiografia presente su MySpace – dove mi è capitato di conoscerlo – per farsene un’idea. Se poi ascoltate il suo cd d’esordio “Pop Aziendale” allora avrete chiaro il quadro. E il genere che definisce, appunto, pop aziendale. Lui si chiama semplicemente Ribes. Cito dalla sua biografia: “Nato all’alba di moltissimi anni fa in una ruvida cittadina piemontese, Ribes impara assai presto i fondamenti della musica (…) Purtroppo varie e tormentate vicende familiari lo porteranno ben presto a entrare nel mondo del lavoro strettamente impiegatizio, nel senso più brutale del termine. Inizierà dunque solertemente a lavorare in numerose aziende multinazionali e locali divenendo a tempo record un impiegato modello. Ma durerà poco. Verificando egli stesso le indicibili angherie psicologiche a cui vengono sottoposti i suoi malcapitati colleghi, decide ben presto di ribellarsi a questo sistema ingiusto e tirannico, trasformandosi sorprendentemente in un instancabile paladino di tutti gli impiegati, guida morale per tutti gli oppressi, simbolo inimitabile della lotta contro il mobbing… Tornato alla musica, il suo primo e unico grande amore, inizia un contorto ma straordinario percorso che lo porterà a fondere le due anime, quella aziendale e quella musicale, innovando in maniera drastica il modo di fare musica pop…”.
Una voce che ricorda Caparezza e una musica elettro-pop, Ribes ha dato alla luce un disco che è un ritratto dei tempi che viviamo, resi ancora più grigi (?) anche da certe affermazioni infelici, uscite da bocche tecniche, come “il lavoro non è un diritto”. Traducibile come “la vita non è un diritto!”. Oppure “rinunciare a una settimana di vacanza” per incrementare il Pil e simili… boiate. Costretti a sorridere, mentre la rabbia monta. Sotto le ceneri di un futuro che continua a bruciarsi.  “Pop aziendale” è un disco intelligente, ben suonato, con testi che fanno sorridere e al tempo stesso riflettere. Prendiamo il brano “Destinato a esser dottore” e la strofa in cui il nostro canta: “Io studiavo a tutte le ore, studiavo di notte senza far rumore,/un solo obiettivo voler diventare diventar dottore/pensavo al futuro, pensavo all’onore,/pensavo alla figa pensavo al potere,/ma poi qualcosa, qualcosa andò male e divenni agricoltore”. Oppure “Indebitato”: “Oggi è un giorno, un giorno un po’ speciale,/ mi hanno convocato all’ufficio del personale e mi hanno detto che occorre migliorare, occorre incrementare,/ produrre e non fiatare, ma poi commossi dicon che,/ che l’azienda punta proprio su di me … per quel ha da fare si fermi a lavorare vuol mica andare via alle sei”. Abbiamo intervistato Ribes per capire cosa si cela dietro il nickname…

Chi è Ribes e qual è il tuo background artistico?

Quando ho pensato per la prima volta al progetto Ribes avevo in mente di fare un qualcosa di assolutamente diverso e originale pur rimanendo in ambito pop, ma volevo allo stesso tempo qualcosa di molto accessibile. Cercavo soprattutto semplicità. Tra i tanti nomi che avevo in mente Ribes mi è sembrato il più adatto a trasmettere questo mio modo di vedere le cose. Musicalmente, invece, sono autodidatta.

Come è nato il tuo disco d’esordio? Mi parleresti della sua genesi?
Il mio primo album Pop aziendale è nato come un album concept, comprendendo brani in prevalenza incentrati sul mondo del lavoro. Pezzi nati in un periodo in cui ancora lavoravo come dipendente in azienda ma pensavo di lasciar perdere tutto per fare il musicista. È quindi un album che fotografa un momento preciso della mia vita, cercando però di non darne un giudizio personale, ma lasciandolo alle orecchie e alla sensibilità di chi ascolta. Volevo dare una visione ‘pop’ alle mie esperienze aziendali, ma allo stesso tempo percepivo come il pop che stava nascendo avesse nelle sue pieghe un qualcosa di ‘aziendale’. La creazione del disco è stata anche un modo per capire se nel mio futuro vi sarebbe stato più ‘pop’ o più ‘azienda’. Tieni conto che ho lavorato in varie aziende soprattutto con contratti a termine, come venditore e nei call center, dunque la realtà che descrivo trae ispirazione soprattutto da questo tipo di contesti.

Qual è il tuo metodo di composizione?
Per me nasce tutto attorno a un’idea. Un’idea che spero possa destare curiosità e interesse e che di solito dev’essere già ben evidente nel titolo del brano. Se c’è poi effettivamente qualcosa d’interessante lo sviluppo dell’intero brano viene da se, sia a livello di testo che di musica. Io sono un tastierista e dalla tastiera o dal pianoforte nasce poi tutta la struttura di quello che sarà il brano vero e proprio.

A quale artista – se c’è – ti ispiri maggiormente?
Ascolto di tutto, ma amo in particolar modo la New Wave anni Ottanta e in genere tutto ciò che contiene elettronica. La mia massima fonte d’ispirazione sono i Depeche Mode, che apprezzo da moltissimi anni e di cui sono un grandissimo fan.

Qual è il disco degli ultimi anni che consigli?
Ce ne sarebbero diversi, ma tra le ultime cose ascoltate direi l’ultimo album degli Orchestral Manoeuvres in the Dark History of Modern, ma anche l’ultimo degli Human League Credo.

Come vedi la situazione politica italiana? Credi che l’avvento delle liste civiche possa portare quel cambiamento che si desidera e che ci si aspettava con il governo tecnico?
E’ un periodo che non seguo molto la politica, mi sono un po’ disaffezionato, direi quasi rassegnato alla negatività del presente. Spero comunque che chiunque andrà al governo, dopo la parentesi tecnica, possa dedicarsi soprattutto a risolvere i problemi concreti della gente, i problemi della quotidianità, ridando fiducia e speranza soprattutto a coloro che per la crisi economica stanno vivendo le situazioni di maggior disagio e difficoltà.

Nel brano “Nuovissimi talenti” canti: “Dischi dischi vendono i talenti/ c’è chi tra di loro è già arrivato a venti/ma poi s’è fermato… non aveva più parenti”… Molto criptico ma incisivo. Musicalmente parlando come consideri l’Italia?
Son dell’idea che ormai ci sia quasi più gente che i dischi li voglia creare che gente che li voglia comprare, digitali o fisici che siano. E poi vedo moltissima omologazione: arrangiamenti tutti uguali, testi che se scambi la prima con la seconda strofa non ti accorgi della differenza, modi d’impostare la voce presi dall’ultimo talent show, modi di vestirsi e di atteggiarsi estremamente simili gli uni agli altri e via dicendo.

Cos’è che consiglieresti a un discografico?
Oggigiorno gli consiglierei di “fare il discografico”. Che dovrebbe significare prendere una “potenzialità” e tradurla in “realtà”. E non come molti fanno, prendere una “realtà” e moltiplicarne i già esistenti profitti. A puntare sulle cose che già funzionano, senza rischiare nulla, non credo serva essere discografici. Ma è probabile che i discografici del futuro saranno gli artisti stessi, con tutti gli oneri e gli onori che questo comporterà.

Musica e Internet: quanto è importante per te il connubio?
Non avendo un’etichetta alle spalle e facendo quindi tutto da solo, Internet per me è fondamentale e insostituibile per farmi conoscere.

Hai in programma una tournée?
Mi piacerebbe molto ma non ho al momento un’agenzia di booking. Speriamo di trovarla quanto prima.

Prossimi progetti?
Entro l’anno dovrebbero uscire nuovi singoli, poi a seguire il secondo l’album. Per chi volesse ascoltare i brani o rimanere aggiornato sulle mie attività lo aspetto sulla mia pagina Facebook.

 

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