La Rai – la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo – è ostaggio dei partiti e, in particolare, della Lega Nord e del Popolo della Libertà, i cui parlamentari oggi hanno deciso di disertare la seduta della commissione di vigilanza nell’ambito della quale avrebbe dovuto procedersi alla nomina dei nuovi membri.

E’ un fatto di inaudita gravità.

C’è una legge dello Stato che impone ad un organo Parlamentare di provvedere all’elezione dei membri di una società per azioni interamente posseduta dallo Stato e ci sono parlamentari della Repubblica che – seguendo precisi ordini di irresponsabili scuderie partitiche – ostacolano il regolare svolgimento delle consultazioni elettorali, paralizzandone dolosamente l’attività.

È uno scontro, con pochi precedenti persino nella movimentata recente stagione politica, quello al quale stiamo assistendo: i partiti contro le leggi ed il parlamento.

Davanti ad una legge che attribuisce ad una Commissione parlamentare il diritto/dovere di procedere a delle elezioni, i singoli parlamentari hanno una discrezionalità limitata: possono astenersi dal voto o votare ma non possono non presentarsi in aula nella piena consapevolezza che, così facendo, impediscono alla Commissione di procedere alle elezioni. I parlamentari – benché molti tendano a dimenticarsene per poi ricordarsene solo quando ciò si traduce in un beneficio in termini di immunità o in altri privilegi e vantaggi – sono pubblici ufficiali.

Oggi i parlamentari della Lega Nord e del Popolo della libertà hanno inequivocabilmente e platealmente omesso di adempiere ad un preciso dovere del loro ufficio, rischiando, peraltro, con ciò, di determinare un’interruzione di un pubblico servizio come quello radiotelevisivo o, almeno, di ostacolarne il regolare funzionamento.

Sono parlamentari fuori legge, sulla cui condotta sarebbe opportuno indagasse la magistratura almeno per verificare se il loro rifiuto organizzato di adempiere ad un dovere del loro ufficio possa assumere rilevanza penale. Val la pena ricordare che se qualsiasi altro pubblico ufficiale, nel nostro Paese, avesse tenuto un comportamento analogo, ci sarebbe stato solo l’imbarazzo del reato da contestargli: dall’omissione di atti d’ufficio all’abbandono collettivo di pubblici uffici, passando per l’interruzione del pubblico servizio.

Possibile che se lo stesso comportamento è tenuto da un Parlamentare, su mandato di un partito politico sia tutto regolare?

È inaccettabile che i partiti continuino ad arrogarsi – proprio come appena accaduto in relazione alle nomine dei membri del Garante privacy e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – il diritto di scegliere, sulla base delle solite logiche di spartizione delle poltrone, i membri del consiglio di amministrazione di una società incaricata, tra l’altro, di garantire un servizio pubblico fondamentale come quello radiotelevisivo, ma è, a dir poco, intollerabile che pretendano di dettare addirittura i tempi nei quali provvedervi, contro le leggi e gli interessi della RAI e del Paese.

Siamo al cortocircuito istituzionale. I partiti che paralizzano il funzionamento di una società alla quale lo Stato ha affidato l’erogazione di un servizio pubblico.

Dinanzi a qualsiasi contestazione di inadempimento al contratto di servizio pubblico – quello attraverso il quale lo Stato affida alla Rai il compito di erogare il servizio radiotelevisivo – domani, la Rai potrebbe difendersi, sostenendo che l’impossibilità ad adempiervi è stata determinata dal ritardo con il quale il Parlamento ha proceduto alla nomina dei suoi vertici. 

È follia istituzionale. Un’evidente crisi di onnipotenza partitica che merita una riposta forte da parte di tutte le istituzioni democratiche e costituzionali.

È, peraltro, evidente che con il loro comportamento di oggi i Parlamentari della Lega e del PdL si sono assunti un’enorme responsabilità dinanzi alla Corte dei Conti che sarebbe il caso riaddebitasse agli Onorevoli Lorsignori, più fedeli ai partiti che alla Repubblica, il danno che lo Stato – azionista di maggioranza della Rai – si troverà a soffrire a causa dell’impossibilità per la Rai di disporre di un nuovo Consiglio di Amministrazione.

Difficile, dinanzi a certi episodi, resistere alla tentazione di parlare di un’esigenza impellente di “anti-politica”, intesa, almeno, come espropriazione del ruolo e delle funzioni sin qui, troppo spesso, aribitrariamente svolti dai partiti.

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