Gli studi di economia e sociologia lo confermano: la presenza delle donne aumenta la qualità degli eletti in Parlamento e quando sono al comando ci sono meno probabilità che l’azienda fallisca. Eppure in politica, e più in generale ai posti di vertice, continuano a essere poche, delle “mosche bianche”, costrette dentro stereotipi che vanno dalla “donna con le palle” allo stile Minetti.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Onu e dell’Unione interparlamentare (Ipu) le donne elette nei parlamenti nazionali nel 2011 sono state il 19,5%, ‘ben’ lo 0,5% in più rispetto all’anno precedente. In testa alla classifica, neanche a dirlo, i soliti paesi scandinavi quali Svezia, Norvegia e Finlandia con il 42-45% di donne elette, insieme a Cuba (42,5%), Andorra (53,6%), Belgio (39,3%), Rwanda (56,3%), Mozambico (39,2%) e Sudafrica (44,5%). L’Italia invece è solo 57ma con il 21,6% di donne elette alla Camera e il 18,6% al Senato. Simile a noi è la Gran Bretagna, con il 22% di donne parlamentari, mentre più indietro c’è la Francia con il 18,9%. Negli Emirati Arabi Uniti, Myanmar, Mongolia, Nigeria e Iran invece le donne in parlamento non superano in nessun caso la soglia del 5%.

QUOTE DI GENERE NEL MONDO. Una delle soluzioni proposte per ovviare a questa disparità è quella delle quote di genere (è solo in Italia che si chiamano rosa), cioè l’imposizione di una quota minima di donne nelle liste elettorali. Secondo il rapporto Onu, nel 2011, su 59 paesi in cui si sono svolte le elezioni, 17 paesi hanno imposto delle quote elettorali. In questi, le donne hanno ottenuto il 27,4% dei seggi, rispetto al 15,7% dei paesi che non prevedono quote di genere. Nei paesi arabi e Medio Oriente, nonostante il vento della Primavera araba, che ha visto una massiccia partecipazione delle donne alle proteste e manifestazioni di piazza, alla fine del 2011 la percentuale delle donne elette nei parlamenti arabi è rimasta circa al 10%, mentre in Egitto le parlamentari sono crollate dal 12,7% a meno del 2%. Globalmente nel mondo 18 Paesi hanno una donna presidente o capo di governo, mentre le donne ministro sono il 16,7%.

COME FUNZIONA IN SVEZIA. Contrariamente a quanto si pensa, non ci sono mai state quote imposte nelle leggi elettorali in Svezia (o in Norvegia e Danimarca), ma solo all’interno degli statuti di alcuni partiti a cavallo tra anni ’80 e ’90, quando le donne occupavano già il 20-30% dei seggi in parlamento, riservando alle donne il 40-50% dei posti nelle liste. Il vero decollo della rappresentanza politica delle donne è avvenuto però negli anni ’70, prima dell’introduzione delle quote. Altri partiti hanno adottato delle ‘soft quotas’, raccomandando la presenza del 40% di donne in tutti i comitati e consigli direttivi. Tuttavia nel 2010 il ministro dell’Istruzione svedese ha chiesto l’abolizione delle quote rosa. La questione è stata discussa in ambito accademico dove facoltà come Medicina e Psicologia sono state costrette a respingere l’iscrizione di ragazze per non superare il tetto del 50% introdotto nel 2003 per le iscrizioni all’università.

COME FUNZIONA IN FRANCIA. E’ il primo paese al mondo ad aver adottato, nei primi anni ’90, una legge che richiede un numero uguale di candidati maschi e femmine per alcuni tipi di elezione e che nelle liste si alternino maschi e femmine, pena l’invalidazione, per le elezioni al Parlamento europeo, di metà del Senato, di consigli regionali e municipali con più di 3500 abitanti. La legge è stata applicata anche alle elezioni legislative con alcune modifiche. I partiti che non ottemperano alla legge vengono penalizzati con una decurtazione massima del 50% sul contributo elettorale ricevuto dallo Stato, che ammonta nel complesso a 80 milioni di euro. Nel 2006 è stata introdotta una legge che impone il 20% di donne nei consigli di amministrazione di società per azioni e aziende pubbliche, poi modificata nel 2008 con la formulazione per cui la legge garantisce uguale accesso a uomini e donne nelle responsabilità professionali e sociali.

COME FUNZIONA IN SPAGNA. Nel 2004 Josè Luis Zapatero è stato il primo premier a costituire un governo in completa parità tra ministri donne e uomini. Nel 2007 la Spagna ha approvato una legge sulle quote rosa nelle elezioni, che prevede che nessun sesso può avere una rappresentanza superiore al 60% e inferiore al 40%.

LA SITUAZIONE IN ITALIA. Il giorno in cui avremo una donna come presidente del Consiglio o della Repubblica è lontano ancora anni luce. Anche se qualche passo in avanti si sta facendo, seppure tra infinite discussioni e grande lentezza. Dopo il fallimento della legge sulle quote rosa proposta dall’ex ministro delle Pari opportunità, Stefania Prestigiacomo, a maggio scorso la Camera ha approvato una proposta di legge, ora al Senato, per cui gli statuti degli enti locali dovranno definire norme volte alla promozione di pari opportunità tra i sessi nelle giunte nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti. Si potrà inoltre esprimere la “doppia preferenza di genere” dando cioè, due preferenze per i candidati a consigliere comunale, una per un candidato di sesso maschile e l’altra per un candidato di sesso femminile della stessa lista. In caso di mancato rispetto della disposizione, si annulla la seconda preferenza. Un espediente che però spesso porta sì più donne in Consiglio, ma, come in Campania mogli, compagne, figlie di politici (uomini) già affermati.

L’unico cambiamento diventato legge riguarda il mondo del lavoro: nel 2011 sono state introdotte le quote rosa nei cda delle aziende quotate in Borsa e delle società a partecipazione pubblica, che dovranno essere composti da 1/5 di donne da agosto 2012 (20% nel primo mandato) e da 1/3 dal 2015 (il 33,3% nel secondo mandato). Attualmente sono solo il 7% nelle aziende quotate ad avere cda con una presenza femminile, ma diverse grandi realtà, come la Fiat hanno iniziato ad adeguarsi.

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