Per la prima volta in dieci anni il flusso d’aiuti dall’Europa ai Paesi poveri è in calo. Colpa della crisi, emerge dall’ultimo rapporto della campagna internazionale dell’organizzazione One, che esorta i governi europei a tenere fede alle promesse fatte, in particolare verso l’Africa. I numeri di One, lanciata dal cantante degli U2 Bono e da Bob Geldof, dimostrano come i governi europei siano lontani dall’obiettivo di stanziare entro il 2015 lo 0,7 per cento del Pil in aiuti pubblici allo sviluppo e paventano il rischio che questa percentuale possa ulteriormente abbassarsi. Nell’ultimo anno gli aiuti totali dell’Europa a 27 sono calati dell’1,5 per cento passando a 50,86 miliardi. I due Paesi in cui i tagli sono stati più pesanti sono stati gli stessi oggi in mezzo alla tempesta: Grecia e Spagna. Tra il 2010 e il 2011, Madrid, sesto più grande donatore europeo, ha tagliato gli aiuti del 30 per cento. Atene è andata ancora più in profondità con un meno 40 per cento.

“Tra chi accusa le conseguenze della crisi economica europea c’è anche una fetta della popolazione più povera al mondo. Possiamo vedere l’impatto che le misure di austerità stanno avendo sui programmi di aiuto”, si legge nel comunicato diffuso da One. “I tagli in Grecia e Spagna erano prevedibili, ciò che spaventa è tuttavia lo scarso risultato complessivo”.

Sarà soprattutto l’Africa a risentire dei tagli, sottolinea One, che alla lotta contro la povertà nel continente ha dedicato gran parte della sua attività. Naturalmente, sottolineano gli estensori del rapporto, l’Africa deve contare prima di tutto sulle proprie forze, sulla raccolta delle tasse e su una maggiore efficienza del governo nel combattere l’evasione, la corruzione e per cercare di attrarre investimenti. Fino a quando tuttavia queste condizioni a lungo termine non saranno raggiunte gli aiuti internazionali continueranno ad avere un ruolo.

Nell’Unione europea sono quattro i Paesi che hanno mantenuto fede alla promessa di raggiungere l’obiettivo dello 0,7 per cento del Pil: Lussemburgo, Danimarca, Svezia e Paesi Bassi. Il governo olandese è inoltre indicato come un esempio virtuoso per la decisione, definita “coraggiosa”, di mantenere i propri impegni nonostante la stretta sui conti, il cui dibattito ha portato alla caduta del governo liberal-conservatore di Mark Rutte. Guardando ai cosiddetti Piigs, ossia i Paesi europei considerati più a rischio, sia l’Irlanda e sia il Portogallo hanno apportato tagli di piccola taglia, circa il 3 per cento, sebbene siano dovuti ricorrere a prestiti di salvataggio dell’Unione europea e del Fondo monetario internazionale che hanno imposto dure condizioni ai governi costretti a manovre di austerità. L’Italia, dal canto suo, può vantare un più 25 per cento negli stanziamenti. Tuttavia è ben lontana dall’obiettivo di arrivare a mettere sul tavolo quello 0,51 per cento del Pil in aiuti pubblici allo sviluppo, fissato nel 2010 e fermatosi lo scorso anno allo 0,14 per cento del Pil. In crescita la quota della Germania.

“Alcuni possono ritenere i tagli l’unica soluzione in un periodo di crisi”, continua il comunicato di One. Tuttavia l’organizzazione sottolinea come la crisi metta in una prospettiva europea anche gli impegni presi con l’Africa. “In pochi giorni è stato deciso un prestito di 100 miliardi di euro alle banche spagnole”, si legge ancora. “La cifra è cinque volte il totale dei soldi che servirebbero all’Europa per mantenere le promesse all’Africa entro il 2015”. La palla passa ora ai leader europei riuniti nel fine settimana a Bruxelles. Per l’occasione One li presserà affinché confermino i 51 miliardi di euro previsti per i prossimi sette anni per combattere la povertà, senza cedere alle sirene che chiedono di stringere la cinghia.

di Andrea Pira

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