Un cerchio di giovani donne i cui visi parlano delle tante e diverse provenienze e colori, sedute in un prato all’ombra di un grande albero: al centro la centenaria Rita Levi Montalcini. E’ a lei che le giovani fanno brevi domande in inglese, a metà tra la storia personale e quella dell’umanità, e la scienziata, bellissima e commovente, risponde. C’è uno spot migliore di questo (prodotto dalla fondazione EBRI) per raccontare il rapporto tra le donne, la scienza e il sapere, e per invogliare a pretendere che i governi mettano al centro la priorità dello studio per la metà del mondo che ancora è, in molti luoghi del pianeta, impossibilitata a goderne? In tante abbiamo postato nei nostri siti e su Facebook questo documento, come inno non solo alla grande ricercatrice ma anche come testimonianza di un modo diverso di guardare all’intelligenza, alla giovinezza e alla bellezza femminile.

 

Difficile pensare ad una campagna pubblicitaria migliore, ma all’Unione Europea (non ad una multinazionale della moda patinata) devono aver pensato: “Ora lo facciamo noi uno spot davvero che spacca”. E quindi eccolo servito: 50 secondi nei quali tre modelle sfilano, con tacchi a spillo, rossetti e cipria, davanti a un giovane bellissimo in camice bianco (lui), e ogni tanto, tra esplosioni di fard e profumo, ecco apparire microscopi e provette. Il logo finale, che ti sorprende dopo questa frenesia di minigonne, movenze feline e sguardi allusivi è: Science it’s a girl thing.

 

Bene, abbiamo capito che per la Ue è importante che le giovani donne possano scegliere le carriere scientifiche, ma la domanda è: come diavolo è venuto in mente di pagare decine di migliaia di euro (perché questi sono i costi minimi di una produzione video istituzionale, per difetto) per lanciare una campagna così banale e infarcita dei peggiori stereotipi sessisti? La buona notizia è che il mondo delle ricercatrici e delle scienziate non si è distratto, e ha protestato, a tal punto che per fortuna lo spot è stato rimosso dalla home page della Ue, e adesso ci sono, bontà loro, interviste a scienziate. A Genova, un anno fa, durante una manifestazione di donne, campeggiava un cartello casalingo: “Più zucca, meno patata”. E noi che pensavamo che solo l’Italia fosse un paese arretrato circa il sessismo e gli stereotipi di genere…   

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