Quest’anno ho avuto studenti magnifici, svegli, curiosi, impegnati, che mi hanno reso più piacevole del solito tenere il mio corso. Per caso?

Dopo tanti anni in una facoltà, ero stata spostata ad un’altra, nella medesima università, per vari motivi pratici. Per cui è stato una specie di piccolo nuovo inizio, un ricominciare, quasi.

Mi avevano detto che gli studenti della nuova facoltà sono in genere particolarmente motivati, forse ha a che fare con i colloqui di selezione in entrata, svolti con particolare attenzione, forse con la passione per le materie: moda, design, arti, spettacolo – tutte tematiche che implicano una passione, per volersene occupare.

Insomma: ho iniziato il semestre io stessa motivata da curiosità e aperta alle potenzialità, e il nostro corso è stato seminariale, basato su testi, certo, ma soprattutto sulla riflessione fatta insieme intorno ad essi.

“Sapevo”, nel senso che me lo avevano detto, che si trattava di studenti particolarmente impegnati, e fin dall’inizio me lo hanno confermato: eravamo curiosi, gli uni degli altri. Per cui – per quanto inusuali fossero temi come l’”errore fondamentale di attribuzione” e la “percezione selettiva” o l’allenamento del “dialogo interiore” e le sue conseguenze sulla motivazione stessa e sulla possibilità di fare volentieri o meno quel che si fa comunque – la stima e la fiducia reciproca ci hanno fornito una solida base di dialogo. E’ stato possibile riflettere insieme anche intorno a tematiche complesse, come l’empatia e la libertà interpretativa, o usare uno sguardo etnografico nel quotidiano, ed aumentare così la capacità di gestire la propria frustrazione, quando le trattative non vanno come ci auguriamo.

Il corso si occupa di far conoscere “strumenti” cognitivi e sistemici, da utilizzare nella trattativa e nella gestione di conflitti, in parte sono quindi strumentali alla capacità di lavorare in team, ad esempio. Ma al di là dell’aspetto utile, mi sono accorta che il fatto stesso di avere a disposizione “modelli mentali” costruttivi aiuta a sviluppare l’apertura, la curiosità verso le intenzioni dell’altra persona, con la quale ad esempio ci si trova a lavorare ad un progetto. Diventa dunque, per chi lo vuole, un’occasione di crescita personale, in cui poterci occupare anche della gestione delle proprie ansie.

In tanti anni sono davvero molti gli studenti che mi hanno dichiarato, sorpresi: “non sapevamo che studiare saggi sociologici o di psicologia sociale potesse cambiare il modo di vedere le cose e quindi il modo personale di affrontare la vita pratica! Perché non ce lo hanno detto prima?” o qualcosa di simile.  

Se state ancora leggendo queste righe vi direte forse: “Buon per lei, ma come mai ce lo racconta? Dov’è il problema?”

Il problema non c’è, eppure noi esseri umani, invece di rallegrarcene e basta, ci possiamo perfino infastidire, accorgendocene: e così, raccontandoci per una volta di situazioni non-problematiche ci possiamo rendere conto di quanto siamo abituati, di solito, a rivolgere l’attenzione a quelle che lo sono.

Mi son detta infatti: che senso ha scrivere di “percezione selettiva” se non seleziono la mia verso le cose che funzionano e danno gioia, e solo a pensarci? Se lo faccio, come ora, posso sentire gratitudine. Cari ragazzi: grazie di aver partecipato con tutta la vostra attenzione ed energia! Anzi no: grazie di esserci!

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