Non c’è pace per Adidas. Dopo che è stato scoperto che le divise ufficiali delle Olimpiadi di Londra 2012 sono prodotte in Indonesia, in fabbriche dove gli operai e le operaie lavorano in condizioni di sfruttamento prossime alla schiavitù, la multinazionale tedesca dell’abbigliamento torna nell’occhio del ciclone. Colpa delle nuove calzature modello JS Roundhouse Mids. Delle scarpe da ginnastica bianche, viola e arancioni che sono completate da un ceppo di catena da allacciare alla caviglia: per quella che ai più è sembrata una disgustosa citazione della schiavitù nera.

Lanciate in pompa magna su Facebook il 14 giugno, in vista della prevista uscita sul mercato per agosto, dapprima i consumatori hanno ricoperto le JS Roundhouse Mids di apprezzamenti entusiasti: arrivando fino a quasi 40mila ‘mi piace’ e 8mila ‘condividi’ in poche ore. Poi, piano piano, in molti si sono resi conto dell’ovvio riferimento ai ceppi utilizzati per incatenare nei secoli passati gli schiavi afroamericani e hanno cominciato a protestare. Gli utenti del social network nei loro commenti indignati, cresciuti di numero fin quasi ad oscurare i numerosissimi ‘mi piace’, hanno cominciato a definirle “disgustose”, “offensive”, “vomitevoli” e “ignoranti”.

L’utente Ezra Casey ha commentato: “Questa è l’idea più stupida che sia mai stata pensata per vendere una scarpa. E’ volgare e di cattivo gusto”. E se qualcuno ha continuato a trovarle belle, l’utente Katy Tee ha scritto: “A parte che sono brutte, queste scarpe sono offensive a più livelli. Innanzitutto perché sfruttano lo ‘stile prigione’ di moda adesso in America. E poi da un punto di vista storico, come reagirebbe un ebreo davanti a un paio di scarpe con la svastica, se la casa di produzione si giustificasse dicendo che è solo moda?”. Perché all’inizio Adidas si era pure risentita delle critiche, e in un comunicato stampa aveva scritto: “Lo stile delle JS Roundhouse Mids non è altro che il punto di vista unico e stravagante di un designer rinomato come Jeremy Scott. Non c’è alcun accenno alla schiavitù e respingiamo ogni accusa”.

Ma intanto la protesta montava. Non solo gente comune e potenziali consumatori, sono intervenuti anche diversi accademici che hanno scritto parole di fuoco sull’utilizzo di simboli di morte e schiavitù in un prodotto per il consumo di massa, per di più destinato agli adolescenti. Sul blog Your Black World, Boyce Watkins, docente alla Syracuse University, ha scritto: “Queste scarpe sono offensive perché non c’è nulla di divertente a proposito del complesso industriale delle prigioni: la cosa più simile al genocidio accaduta alla famiglia nera dai tempi della schiavitù”. E a questo punto Adidas è stata costretta a fare marcia indietro, ritirando le scarpe dal mercato.

In un secondo comunicato stampa, la multinazionale dell’abbigliamento ha dapprima ribadito che le scarpe sono state disegnate secondo “il punto di vista unico e stravagante” del loro designer, quasi a voler scaricare ogni responsabilità. E hanno poi ha aggiunto: “Chiediamo scusa a tutte le persone che si sono ritenute offese da questo prodotto, che abbiamo deciso di non rendere più disponibile dal prossimo agosto come era inizialmente pianificato”. Chissà se nel frattempo hanno chiesto scusa anche alle migliaia di lavoratori sfruttati a sangue per loro conto nelle fabbriche di paesi lontani, dove le tutele sindacali e i diritti dei lavoratori sono soppressi nel nome del progresso. E di un schiavitù in salsa post-moderna.

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