Ho una particolare predilezione per Vladimir Nabokov, l’autore che la maggior parte dei lettori italiani conosce superficialmente per Lolita e null’altro. Mi incanta e soggioga la sua personalità (Adelphi ha pubblicato anni fa “Intransigenze”, magnifica raccolta di interviste che rilasciò soprattutto in America e in Svizzera: i bendisposti e i non permalosi che volessero provare a leggerle potrebbero uscirne con un sacco di stimoli per riconsiderare alcune opinioni intorno alla letteratura, oltre a verificare la caratteristica appena menzionata della personalità). E’ uno scrittore complesso e terribilmente autoreferenziale, e ogni suo libro lascia la splendida sensazione di non aver del tutto capito cosa volesse dirci e dove volesse portarci. Perché splendida? Perché a leggerlo per bene si ha la netta sensazione che la sua onestà intellettuale e la sua commovente generosità abbiano previsto ogni cosa, ogni dettaglio, ogni indizio, e che si debba noi lettori impegnarci di più per agguantare il premio estatico della “comprensione”. (D’altronde fu lui a dire, nelle sue lezioni americane, prima di diventare famoso con Lolita, che ogni grande libro lo si può solo rileggere; citando, en passant, l’affermazione di Flaubert, che a sua volta sentenziò: quante più cose sapremmo se conoscessimo approfonditamente solo quattro o cinque libri…)

Bene: sempre in occasione delle lezioni americane disse quest’altra cosa: “Ricordo una vignetta raffigurante uno spazzacamino che cadeva dal tetto di un alto edificio e notava, precipitando, che in un’insegna c’era un errore di ortografia, e si chiedeva, nel suo volo a capofitto, perché nessuno avesse pensato a correggerlo. Questa capacità di interrogarsi sulle inezie – indipendentemente dall’imminenza del pericolo – questi a parte dello spirito, queste note a piè di pagina nel volume della vita sono le forme supreme della consapevolezza, ed è in questo stato mentale infantilmente speculativo, tanto diverso dal senso comune e dalla sua logica, che sappiamo che il mondo è buono“.

Non trovate bellissima questa lunga frase? “Stato mentale infantilmente speculativo…“: alcuni di voi ci sentiranno gli echi del Pascoli (chissà se lo conosceva…) e la sua poetica del fanciullino. E ancora: “… tanto diverso dal senso comune e dalla sua logica…“: già, il famigerato buon senso comune, quello in ossequio al quale l’umanità si uniforma belante, sotto l’egida di conformismo e ipocrisia.

Concordo ammirato, dunque, e sento che è in questo stato mentale che noi sappiamo che il mondo è buono. (Solo la potenza immaginifica di Nabokov si poteva permettere una visione così efficace, originale, densa e rivelatrice!)

Per questo e altri motivi non ho mai amato particolarmente gli artisti cosidetti “impegnati”: invettive, consigli, slogan, verità, idee generali, “analisi”, valutazioni, “disamine”, incitamenti, prediche, stanno meglio in bocca o nella penna di politici avveduti (se ce ne sono), saggisti saggi (sì, ce ne sono) e giornalisti seri (sì, ce ne sono). Almeno perché, credo giusto ritenere, ne dovrebbero sapere molto di più al riguardo; mentre un artista dovrebbe saperne di più a riguardo degli a parte dello spirito…

L’artista

Giunge l’inverno, come le favole
che al bimbo il padre racconterà:
un’impressione addomesticabile
porta un timore… che svanirà.

Eppure t’inquieta andare a dormire,
perché c’è un freddo che può fare male.
Fuori la brina semina gli aghi,
e dentro te c’è desolazione fra i roghi.

Si addensa il cielo poco socievole
in bianco-grigie cupidità:
la neve rende grevi le nuvole,
in questa alba metallica.

Eppure ti appresti a dimenticare
quei turbamenti costretto a sognare:
fra suoni e odori ci sono i motivi
che ti ricordano che fai parte dei vivi.

E al limitare della grossa via,
quasi il risultato di una malìa,
come in un vuoto un cambio interiore
fa’ sì che il fango abbia un nuovo colore.

Alle ghiacciaie dei tuoi pensieri
giungono gli slanci della foga di ieri:
tu non ti chiedi com’è che accade,
ma il tuo istinto se ne avvede.

E ritorna il tuo bel viso.
Rinvigorisce la tua frenesia.
Di luccichii e arcobaleni è intriso
l’armamentario della tua fantasia.

Vedi le note delle tue creazioni
tintinnare fra postini e furgoni.
Pattinando sulla strada gelata
il vento fa una frase armonizzata.

E il bambino che c’è in te
fa’ il fanciullino che ben sai:
corre ai pascoli e alle viole
sui bei prati della tua città.

Ed è così che l’estasi dell’arte
ancora ti aiuta
a dimenticare allegramente che
sei senza una lira.


testo: Cristiano Godano
musica: Cristiano Godano, Luca Bergia, Riccardo Tesio
c)2010, Ala Bianca Edizioni Musicali
dall’album ‘Ricoveri virtuali e sexy solitudini’

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