E’ lo schiaffo più pesante che Marchionne riceve in un’aula di Tribunale. Più pesante di quello ricevuto qualche settimana fa dal Tribunale di Modena dove la Fiom aveva vinto un altro ricorso, per violazione dell’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori (comportamento antisindacale) e in cui il giudice aveva deciso di chiamare in causa la Corte costituzionale sulla questione della rappresentanza in azienda. Stavolta, però, lo schiaffo arriva direttamente nel cuore del progetto della nuova Fiat, là dove tutto è cominciato.

A Pomigliano sono mesi che la Fiom denuncia la discriminazione subita dai suoi iscritti nessuno dei quali, finora, era stato assunto nel nuovo stabilimento in cui si produce la Panda. Assunzioni con il singhiozzo, tra l’altro, perché dei 4500 operai che facevano parte dell’ex stabilimento Giovanbattista Vico, solo 2093 hanno potuto rivedere il proprio posto di lavoro. Ma dei 2093 “richiamati” – così gli operai ci tengono a essere definiti, proprio per ribadire che assunti lo erano già stati – nessuno proprio nessuno, aveva la tessera della Fiom in tasca. Nemmeno nel calcolo probabilistico si può dare l’eventualità che nemmeno uno dei 338 tesserati della Fiom non faccia parte di un corpo fatto di duemila unità. Marchionne, e tutta la Fiat, ha sempre risposto che all’azienda tutto ciò non risulta perché, dopo la firma del contratto separato con Fim, Uilm, Ugl e Fismic, la Fiat non trattiene più le quote sindacali della Fiom e quindi non può sapere chi tra i suoi dipendenti è iscritto o meno al sindacato cigiellino. Inoltre, è circolata la voce che una fetta degli iscritti Fiom si sia trasferita alla Fim, notizia che in realtà confermerebbe la denuncia Fiom: per lavorare occorre non iscriversi o cambiare sindacato.

Ora, il Tribunale di Roma con la sua sentenza chiarisce la situazione e stabilisce un punto di svolta nelle relazioni sindacali del principale gruppo privato italiano. Impossibile non collegare tra loro le tante sentenze che in giro per l’Italia, a Torino come a Bologna o a Modena, stanno dando ragione al sindacato di Maurizio Landini per quanto concerne le discriminazioni subite. E impossibile, per tutto il sindacalismo confederale, non richiamare in causa l’accordo separato firmato, proprio a partire da Pomigliano, con il gruppo Fiat – nel frattempo uscita da Confindustria – che permette all’aziende torinese di applicare le norme, i contratti e la stessa legge sulla base delle proprie esigenze. E’ tutta la strategia di Marchionne a essere sconfessata.

La sentenza di Roma, però, scoperchia quanto è avvenuto e sta avvenendo nella stessa Pomigliano dove Marchionne ha condotto la sua sfida e conferisce una forza particolare alla Fiom che, oltre a rientrare in fabbrica, vede vittoriose tutte le proprie istanze e ribadite le proprie ragioni. Ma questo, paradossalmente, potrebbe indurre la Fiat a fare un passo estremo nella sua reiterata volontà di lasciare l’Italia o, come annunciato dallo stesso Marchionne in una celebre intervista al Corriere della Sera, chiudere lo stesso stabilimento di Pomigliano. Per finire esattamente dove tutto è cominciato.

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