Un paio di estati fa, il mio caro amico Leonardo, conosciuto grazie al Fatto Quotidiano di cui è assiduo lettore, mi regalò il libro di Maurizio Viroli La libertà dei servi.

Una lettura dolorosa e concreta che spiega la differenza fra la liberta’ (libertinaggio) dei servi e dei sudditi che sono apparentemente lasciati liberi di fare ciò che vogliono per ottenerne il consenso e conservare il potere e quella dei cittadini che è necessariamente basata sul rigoroso rispetto delle regole, sulla solidarietà sociale e sulla partecipazione attiva alla vita civile.

La libertà dei servi è quella di cui godiamo noi italiani (e quando dico noi ovviamente non intendo tutti, singolarmente e senza distinzioni) che abbiamo fatto del nostro “libertinaggio” un modus vivendi di cui andiamo sinistramente fieri, senza sapere che ci allontana da ogni possibile sviluppo e progresso.

I problemi dell’Italia, inutile dirlo, non sono iniziati con Berlusconi ma con il fatto che l’ex presidente del consiglio sia stato eletto, sostenuto e supportato per quasi diciasette anni senza che nessuno, se non il presidente della Repubblica, sia riuscito a rompere il suo regno. Il fatto triste è che noi italiani restiamo berlusconiani nel senso peggiore del termine. Nel nostro essere servili, sentendoci subordinati al potere, cercando sotterfugi, lamentandoci senza agire, dicendo “tanto non può cambiare”, facendo un gran casino per qualcosa per poi dimenticarlo il giorno dopo.

Questo, secondo me, ci ha portati anche ad un inaridimento umano, devastante e, a tratti disumano. Abbiamo dimenticato le nostre antiche tradizioni di accoglienza e aiuto per sostituirle con l’indifferenza e l’incapacità totale di fare lavoro di squadra.

Quando sono venuta a New York, lo racconto spesso, non conoscevo nessuno ma avevo tanti “contatti” italiani frutto della mia “vita precedente”. Mi hanno voltato tutti le spalle. Così ho imparato presto a non contare su nessun aiuto da parte dei miei concittadini (ovviamente la maggior parte di loro) ma ne ho sempre trovato molto da parte degli americani.

Due giorni fa, tuttavia, ho chiesto aiuto. Quando una persona a te cara, molto più che cara, ha poco da vivere, chiedi aiuto a chiunque. Io l’ho chiesto a chi poteva darmene uno concreto e piccolo: delle informazioni. Bene, non ho ricevuto nemmeno risposta. Contemporaneamente, ho fatto lo stesso con i miei amici americani. La gara di solidarieta’ è tuttora in corso e io so, ancora una volta di poter contare su di loro (senza parlare del sostegno umano).

Mi sono chiesta, allora, perchè ciò accada. Ogni volta. Puntualmente. E la risposta che mi sono data affonda le sue radici nello scritto di Viroli. Se io fossi stata potente o importante, avrei trovato l’aiuto richiesto perché, darmelo, avrebbe creato un “credito” da riscuotere in futuro. O anche solo in virtù di quel senso di atteggiamento servile che sempre mostriamo nei confronti del “più forte”. 

I newyorchesi, indipendentemente dal loro passaporto, ti aiutano se hai bisogno.
Qualche giorno fa una mia amica dell’Europa dell’est ha trovato lavoro come cameriera in un ristorante. Qui a New York, grazie alle mance, i camerieri guadagnano discretamente bene. Era molto contenta ed io con lei. Sua madre non molto. Quasi si vergognava per il tipo di lavoro. Perché spesso confondiamo il “servire” per mestiere con l’essere servi dentro.
 
Nel secondo caso, non solo non siamo pagati per esserlo ma siamo noi a pagare, nel lungo periodo, un prezzo altissimo. 
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