Domenica 10 giugno 2012. Una data che resterà impressa in tutti gli amanti del calcio. Dopo 64 anni di assenza la Pro Vercelli, una delle squadre pluriscudettate e tra le più antiche d’Italia, è tornata in Serie B battendo ai playoff il Carpi. La gloriosa squadra fondata da Marcello Bertinetti nel 1892, che vinse sette scudetti tra il 1908 e il 1922, di cui tre consecutivi, è tornata tra le grandi, pronta a stupire nella stagione in cui compirà 120 anni di vita.

Da allora il calcio è cambiato e di acqua sotto i ponti ne è passata tantissima. All’epoca il mondo del pallone è lontanissimo da quello che conosciamo oggi. Non esiste il professionismo. Chi gioca a calcio lo fa nel tempo libero, per passione, per gioco. Tutti gli atleti hanno un mestiere in mano e indossano le scarpette soltanto per hobby nel week end. Non esistono ancora gli stipendi e i trasferimenti milionari, le pay tv sono roba da fantascienza così come dare calci al pallone per lavoro. Non esiste ancora la Serie A o la Serie B. Ci sono soltanto i gironi divisi per regione.

Le squadre sono poche, pochissime e i tornei non durano nove mesi, non si gioca ogni tre giorni per fare spazio alla Champions League. A fine stagione non si hanno nelle gambe 50 o 60 partite, i palloni non sono griffati Nike, studiati nella galleria del vento, le divise non sono in poliestere e gli scarpini non sono fatti di tacchetti lamellati. Si gioca con le divise fatte in casa, con i palloni di gomma rivestiti in pelle marrone pesante, con tanto di cuciture grezze ben visibili. La Pro Vercelli era già nata, ma non aveva ancora istituito la sezione calcistica. Lo fece nove anni dopo, nel 1903, cinque anni dopo la vittoria del primo scudetto del Genoa Cricket Football Club, l’altro club più antico d’Italia. Da lì cominciò la leggenda delle casacche bianche.

Nei dieci anni successivi le squadre crescono come i funghi e i gironi regionali si allargano. Il calcio diventa un movimento popolare ma di professionismo ancora non si parla. Resta un gioco, solo e soltanto un gioco. Quello che sarebbe ancora oggi se non girassero tanti, troppi miliardi, leciti e non. Alla vigilia dei vent’anni dalla sua fondazione la Società Ginnastica Pro Vercelli ha già vinto sette scudetti e ha raggiunto in vetta all’albo doro proprio i grifoni.

Era il 1922 e la Pro aveva già scritto la storia del calcio del primo dopo guerra entrando di prepotenza negli almanacchi. Ma il sogno dilettantistico dura poco: i soldi cominciano a farsi largo tra le cuciture del pallone e le squadre di Torino, Milano e Bologna mietono vittime a colpi di ingaggi. Il professionismo comincia a farsi strada e le casacche bianche, saldamente legate ai valori dello sport amatoriale, capiscono che sono destinate a scomparire come tante altre compagni dell’epoca. Nel 1923 il primo chiaro segnale: il calciatore Rosetta viene venduto alla Juventus sotto i colpi del dio denaro portato in dote da Edoardo Agnelli.

E’ il primo scandalo nel mondo del calcio. La Pro riesce a “tener botta” fino al 1948, quando il 13° posto in Serie B la costringe a retrocedere in C1, poi il crollo verticale fino all’onta del fallimento per problemi economici nel 2010. Poi il ripescaggio in Seconda Divisione di Lega Pro, il cambio di denominazione da Unione Sportiva Pro Vercelli Calcio a FC Pro Vercelli 1892 fino al miracolo di quest’anno targato Massimo Secondo, Giancarlo Romairone e Maurizio Braghin. Presidente, dg e allenatore: tre uomini capaci di riportare “i leoni” in Serie B dopo aver battuto il Carpi ai playoff e dopo 64 anni di assenza.

Una liberazione, un sogno che s’avvera per una delle società più antiche d’Italia, la nobile decaduta per eccellenza. Anche a Marcello Bertinetti, storico fondatore della Società Ginnastica nel 1903, è scesa una lacrimuccia in cielo. 1892-2012: ne è passata di acqua sotto i ponti, ma la passione è sempre la stessa per una squadra che tenterà la scalata al grande calcio professionistico. Magari ripercorrendo le orme di un’altra storica squadra piemontese: il Novara che in due stagioni ha fatto il salto triplo, dalla Prima Divisione alla A grazie alla cura Tesser. Due società che hanno molto in comune.

A cominciare dal grande Silvio Piola, a cui è dedicato lo stadio, storico capitano della Nazionale dal 1940 al 1947, il più prolifico centravanti italiano di tutti i tempi dall’alto delle sue 364 reti e miglior marcatore della Serie A con 274 gol. Un giocatore di cui tutti gli almanacchi sono innamorati. Il bomber ha iniziato a muovere i primi passi tra le fila della Pro prima di chiudere la carriera tra gli azzurri novaresi, senza dimenticarsi di deliziare gli appassionati di Torino e Juventus.

Un’icona del calcio mondiale di cui l’anno prossimo ricorreranno i 100 anni dalla nascita, istituzione del calcio piemontese, che è riuscito a lasciare il segno in tutte e quattro le squadre della Regione. Le stesse che la prossima stagione giocheranno derby incrociati in categorie opposte ma vicine: Juve-Toro in A, Novara-Pro Vercelli in B, come non accadeva dal 1974/75. Queste ultime si incroceranno, sempre allo stadio Silvio Piola, dopo aver fatto il percorso inverso: una è scesa in B a fine stagione dopo una fugace apparizione nella massima serie, l’altra è appena risalita dopo una cavalcata trionfale. La Pro è pronta a stupire proprio nella stagione in cui festeggerà i suoi 120 anni di vita e a rincorrere quella A che una volta era consuetudine.

Una delle squadre italiane pluriscudettate è pronta ad onorare la sua storia dopo una favola lunga 64 anni. E poco importa se nessuno si ricorda più quell’amichevole tra Italia e Belgio giocata a Torino del 1913 in cui nove titolari su undici avevano cucita sulla pelle la casacca bianca della Pro Vercelli. Altri tempi, altro calcio.

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