Nella tarda mattinata del 5 giugno, presso il cortile della Minerva dell’università Sapienza di Roma, l’attuale ministro della Pubblica istruzione e dell’Università, Francesco Profumo – chiudendo la “settimana nazionale della musica a scuola” in risposta alle sollecitazione del presidente del Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica, Luigi Berlinguer – ha promesso solennemente l’introduzione dell’insegnamento obbligatorio di uno strumento musicale in alcune scuole elementari e medie inferiori. Se questa promessa fosse mantenuta si interromperebbe un trend formativo-culturale, iniziato con il primo ministro della Pubblica istruzione Francesco De Sanctis, il celebre letterato, in base a cui la musica, insieme al ricamo, fu di fatto esclusa dal processo formativo nazionale, con la risibile argomentazione che si trattava di “un’arte donnesca”. Da qui, l’esclusione della musica dalla scuola italiana, da qui, la rigida separazione, nel nostro sistema educativo, fra conservatori (depositari della pratica musicale) e università (depositarie della teoria e della storia della musica).

S’interrompe finalmente una lunghissima tradizione che è riduttivo considerare sotto l’egida esclusiva del neoidealismo; basti riflettere su una personalità come quella di Antonio Tari, primo professore ordinario di estetica presso l’Università di Napoli, formatosi  sull’idealismo classico tedesco (Hegel) e sugli epigoni della Scuola hegeliana (Christian Felix Weisse e Theodor Vischer), che, pianista dilettante di straordinaria maestria, nella sezione musicale della sua estetica reale, considerò la musica un’arte rilevante.

Le responsabilità culturali dell’emarginazione della musica dal sistema formativo vanno piuttosto fatte risalire a personalità come quella di Muratori, incline a una vocazione esclusivamente letteraria, tipica dell’intellettuale medio italiano.

La musica, se quella premessa diventasse realtà, giocherebbe finalmente un ruolo decisivo nell’educazione delle giovani generazioni. Una prospettiva su cui ha scritto pagine interessanti Ernst Bloch. Per esempio, nel paragrafo cinquantunesimo de Il principio speranza, il filosofo tedesco rilegge il mito del dio Pan e della Ninfa Siringa, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, dove si narra che il dio, avendo perduto la ninfa amata, riesce a riguadagnare un rapporto con lei attraverso il suono del flauto, uno degli strumenti musicali più originari, costruito dallo stesso dio mediante le canne che la Ninfa in fuga aveva lasciato dietro di sé. Bloch stabilisce dunque un’analogia tra il dio e l’uomo, che ha costruito da se stesso e per se stesso la musica attraverso gli strumenti musicali per emendare il suo destino e tornare a sperare.

La musica come strumento dell’identità umana e non come dono gratuito, la musica come premessa per il riscatto dell’uomo. Mai la pratica musicale ha ottenuto un così elevato riconoscimento filosofico. Come suggerisce lo stesso Bloch, “nell’espressione musicale proprio l’ordine intende una casa, anzi un cristallo, ma di futura libertà, una stella , ma come nuova terra”.

Una vera e propria rivoluzione formativa che avrebbe sicuramente effetti propulsivi sull’immobilismo del nostro sistema formativo nazionale.  

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