Uno dei primi giorni dopo la scossa del 20 maggio ero dalle parti della zona industriale di Sant’Agostino per realizzare un servizio. Mi hanno molto colpito le parole di uno degli artigiani rimasti senza capannone mentre lo stavo intervistando: “Se volete entrare, entrate pure”, ha detto, indicando prima me e l’operatore e poi il suo laboratorio artigianale con il tetto per metà crollato sui macchinari “a vostro rischio e pericolo. Del resto voi siete abituati ad andare anche in guerra, non avete paura”.

In verità, nelle poche occasioni “guerreggiate” in cui mi sono trovato coinvolto (a Genova, nel Kurdistan turco, nello Yemen e nel nord del Laos), ho avuto moltissima paura, figuriamoci in una guerra. E basta leggere i racconti dei Veri reporter da prima linea (penso soprattutto ad Aidan Hartley, Ryszard Kapuściński e Tiziano Terzani) per avere la conferma che la paura è parte essenziale del lavoro sul campo. Semmai il problema è riuscire a controllarla.

La televisione ci ha abituati, o ci prova, a farci convivere con una realtà finta. Patinata e senza cuore. A Mirandola, pochissime ore dopo la scossa del 29 maggio, tutte le celebrità del piccolo schermo si erano date appuntamento in un punto sicuro alle porte della zona rossa. In uno dei paesi più ignorati dopo il sisma del 20 maggio, nonostante danni ingentissimi, ecco i Pezzi Grossi, come a dire “Anche noi ci siamo. Siamo sul pezzo. Solidarietà e affetto per la popolazione colpita”, mentre i loro cameraman, accompagnati dai vigili del fuoco, rischiavano l’infortunio o la vita fra le macerie.

Imbarazzanti questi signori in Camicia&Sorriso. Il lato triste e più gettonato dell’informazione. Capaci di sbraitare, come è successo a San Felice sul Panaro, verso un gruppo di cittadini che parlavano troppo forte disturbando la diretta mattutina per le casalinghe annoiate, o di allontanare a gesti poco educati una signora sfollata che chiedeva attenzione anche per i lavoratori morti e non solo per i campanili, come è successo a Mirandola nel circolo dei conduttori tv, o seduti sotto gli ombrelloni (sono belle giornate di sole) davanti alla piazza devastata di Cavezzo, sorseggiando un’aranciata, aspettando che il terreno tornasse a tremare per realizzare uno scoop eccezionale.

Nessuno di questi signori ha mosso un dito per alzare un lettino nel cortile della scuola di San Felice. E sì che di cameraman, fotografi, freelance, gregari inascoltati dell’informazione ce n’erano tanti a dare una mano. In realtà nessuno del club Camicia&Sorriso si è visto da quelle parti. Forse il caos di anziani malati sulle brandine, cittadini spersi e volontari era un po’ troppo da digerire per uomini e donne abituati a tutt’altro tipo di confusione che, generalmente, in Italia, chiamiamo “confronto tra opinionisti”.

Poi ci sono i camerieri del club. Di solito sono locali lobotomizzati da migliaia di ore passate davanti al televisore a guardare tutto il peggio che l’uomo abbia mai prodotto a livello di messaggio mediatico. I camerieri del club hanno un unico sogno: poter dire ad amici, parenti e conoscenti che hanno conosciuto il tal conduttore o l’eroina televisiva della moglie. Hanno sostituito, nell’immaginario di molti anziani che da queste parti hanno combattuto nelle file partigiane, quello che erano i collaboratori dei nazisti. Sono quelli che vanno a prendere la bibita fresca al giornalista accaldato, quelli che fanno da conciliatori fra la troupe e i cittadini angosciati (dando sempre ragione alla tv), che conducono questi grandi campioni del reportage d’azione a intervistare vecchiette salve per miracolo perché gli eroi possano chiedere loro: “Signora, mi dica, ha avuto paura del terremoto?”. La domanda che tutta l’Italia intelligente aspetta con il fiato sospeso.

Ho avuto paura nelle poche, per fortuna, occasioni “guerreggiate” in cui mi sono trovato coinvolto. Fa parte del lavoro, o di questa specie di lavoro che è scrivere. Penso che i tesserati del club Camicia&Sorriso vengano qui, in questa terra martoriata, senza avere minimamente paura perché loro sono al sicuro, sempre. Se proprio dovesse cadergli l’ombrellone in testa ci sarebbe un cameriere locale a sistemarglielo di nuovo e a portargli un po’ di ghiaccio per rinfrescarsi la fronte.

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