Matthias Sindelar era un fuoriclasse, dipingeva calcio negli anni Trenta e venne assassinato dalla Gestapo. Omicidio politico, mascherato da suicidio. Era “amico degli ebrei”, fiero oppositore di Hitler, circostanze sufficienti per avvelenarlo con la complicità di una stufetta “difettosa”. Una storia, la sua, che agli azzurri in visita ad Auschwitz non è stata raccontata. Una storia più istruttiva di altre. Per capire meglio l’efferatezza di un regime demoniaco che usava spalmare i suoi tentacoli nell’ambito sportivo.

Sindelar, “Cartavelina” per i devoti, aveva gambe sottilissime, stile lieve e molto tecnico, naturale predisposizione a costruire capolavori. Era il venerato solista della “Wunderteam”, la squadra della meraviglie, la nazionale austriaca che giocava il miglior calcio d’Europa, pressing, ricami, assoluta perfezione nella misura dei passaggi. E i gol di Sindelar. Sempre di livello superiore. Come quello segnato all’Italia, nel ’32, pallone incollato alla testa e depositato in rete slalomeggiando in area. O, qualche mese più tardi, il memorabile coast to coast che tramortì gli inglesi a Stamford Bridge. Solo Monti, il mastino di Pozzo, il centrale dell’Italia Campione del ’34, riuscì, con qualche randellata di troppo, ad annacquarne il talento. Accadde in semifinale, in quella rassegna organizzata in casa e pilotata dal Duce. Austria a casa, Sindelar ad un soffio dalla definitiva consacrazione planetaria. 

Si rifece col suo club, l’Austria Vienna, coppe e scudetti collezionati in sequenza. In patria mito vero. Protagonista al cinema, nelle pubblicità, sempre elegantissimo, nei modi, nel look. Pocopiù che trentenne toccò l’apice della sua carriera. Ma il 12 Marzo del ’38 l’esercito di Hitler passò la frontiera, il giorno dopo la Germania proclamò l’Anschluss, l’Austria diventò provincia tedesca, tutti gli ebrei sul territorio immediatamente cacciati, le due nazionali unificate. L’Austria Vienna si ritrovò decimata, la metà dei suoi giocatori fuggì all’estero. Per i nazisti nemici da eliminare, per Sindelar compagni da onorare. Lo fece, da capitano, davanti alla Germania, prima del Mondiale francese, nell’ultimo match giocato dalla nazionale austriaca col proprio nome. Ignorò le pressioni dei nazisti, si ribellò alla commedia pianificata dal regime, s’impegnò allo spasimo, trascinò al successo la sua squadra. Un gol, un assist, giocate strepitose. Ed una danza beffarda inscenata a fine gara ai piedi della tribuna occupata dai dignitari di Hitler. Uno spettacolo che segnò la sua condanna. 

Il 23 Gennaio del ’39 lo trovarono morto nel suo appartamento. Ucciso, stabilirono frettolosamente le autorità, da una intossicazione da monossido di carbonio. Ma i tanti indizi portavano in un’altra direzione, la Gestapo aveva agito, chiuso l’indagine, fatto sparire il dossier. Cartavelina diventò uno dei tanti, troppi simboli dell’atroce follia hitleriana. E se è vero che il calcio può, deve essere un potente vettore di valori, gli azzurri scioccati dalla passeggiata nel lager sono obbligati a fare propri anche quelli lasciati in eredità da Sindelar.

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