Un sindacato sempre più debole, meno capace di imporre a livello locale e nazionale le proprie ragioni. Un elettorato che pare volersi svincolare da rigide appartenenze ideologiche e di partito, e che vota seguendo preoccupazioni e interessi specifici, circostanziati. E un presidente, Barack Obama, che il prossimo novembre dovrà essere capace, per vincere, di riassumere e incarnare aspirazioni e tendenze spesso opposte, apparentemente inconciliabili. E’ il senso dei tanti voti che hanno costellato il primo martedì di giugno negli Stati Uniti, e che sono stati seguiti da Washington come un primo importante segnale degli orientamenti elettorali degli americani.

Il voto più importante è stato quello del Wisconsin, dove il repubblicano Scott Walker ha riconquistato la poltrona del governatore, sconfiggendo in modo ampio (53,2% dei voti contro il 46,3%) il suo oppositore, il democratico e sindaco di Milwaukee Tom Barrett. ‘‘Stanotte abbiamo detto al Wisconsin e abbiamo detto all’America e al mondo che gli elettori vogliono leader capaci di restare saldi e prendere le decisioni più difficili’’, ha detto Walker nel discorso dopo la vittoria. In effetti questo politico repubblicano (44 anni, figlio di un pastore protestante) è riuscito ad avere la meglio sul suo rivale dopo 16 mesi di uno scontro politico violentissimo, che ha coinvolto partiti e sindacati, che si è allargato a tutto il Paese (Walker ha speso per la sua campagna 45 milioni di dollari, in gran parte arrivati da gruppi e organizzazioni nazionali) e che ha sconvolto il tradizionale clima civile e un po’ noioso della politica del Wisconsin. L’elezione di ieri era infatti una ‘‘recall election’’, un tentativo di defenestrare Walker attraverso nuove elezioni chieste con una raccolta di firme dall’Afl-Cio e da altri sindacati locali e nazionali. Appena eletto governatore, nel 2010, Walker si era lanciato in un epico braccio di ferro col sindacato, imponendo l’eliminazione del negoziato collettivo sui contratti di lavoro, licenziando 12 mila dipendenti pubblici dello Stato del Wisconsin (oltre al taglio degli stipendi per altri 340 mila), autorizzando il licenziamento immediato per chi scioperasse.

La ‘‘cura’’, giustificata con la necessità di affrontare il baratro del disavanzo pubblico dello Stato, era stata duramente combattuta dalle unions americane e dal partito, che hanno chiesto un ‘‘richiamo di mandato’’ per Walker, contando anche sulla tradizionale inclinazione liberal del Wisconsin (qui i democratici hanno vinto tutte le elezioni presidenziali a partire dal 1988). I fatti hanno dato torto al partito di Obama e alle organizzazioni dei lavoratori. Walker ce l’ha fatta, rilanciando la sua immagine a livello nazionale (molti lo considerano un probabile sfidante per la presidenza, nel 2016). Soprattutto, il voto dimostra che le tradizionali etichette e contrapposizioni (democratici attenti allo sviluppo e al lavoro, repubblicani fautori del pareggio di bilancio) non funzionano in modo rigido. Il 18% di chi ha votato per il repubblicano Walker, e che si è detto preoccupato per il disavanzo statale, ha anche spiegato che sceglierà Obama il prossimo novembre. Un segnale negativo per il sindacato, e di difficile interpretazione per Barack Obama, è venuto anche dal voto in uno stato tradizionalmente democratico come la California. Qui erano in programma le primarie per le prossime elezioni legislative (organizzate lo stesso giorno delle presidenziali) e una serie di referendum locali.

A San Diego e San Jose, due importanti città dello stato, gli elettori hanno votato per riforme pensionistiche che ancora una volta colpiscono gli interessi del pubblico impiego. Il 70% di chi ha votato a San Jose, e il 67% degli elettori di San Diego, si è dichiarato a favore di un taglio consistente dei benefici pensionistici per i dipendenti comunali. ‘‘In questo modo riusciremo ad affrontare il problema dei costi esorbitanti provocati dalle pensioni’’, ha detto il sindaco di San Jose, Chuck Reed. Lo Stato della West Coast ha anche sperimentato il nuovo sistema elettorale scelto per le primarie. Per la prima volta, i candidati si sono affrontati nei distretti californiani senza tenere conto della propria affiliazione politica. I due meglio piazzati si sfideranno alle elezioni legislative di novembre. In uno stesso collegio elettorale, quindi, si è potuto assistere allo scontro tra due democratici o due repubblicani. E’ quanto è successo, per esempio, ai democratici Brad Sherman e Howard L. Berman, amici da decenni, colleghi alla Camera da 15 anni, che si sono dovuti affrontare nello stesso collegio. Le primarie a-partitiche, come sono state chiamate, hanno alla fine, secondo molti osservatori, indebolito la capacità delle formazioni politiche di orientare il voto degli elettori e la scelta delle classi dirigenti. Una questione, quella della difficile tenuta delle grandi organizzazioni di fronte all’emergere dei tanti movimenti locali e nazionali, che pare riflettersi anche nelle plurime sconfitte del sindacato americano e nei problemi che la nomenclatura repubblicana ha di fronte ai tanti Tea Parties e ai gruppi della destra religiosa.

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