Ddl corruzione continuano le grandi manovre. Secondo incontro tra il ministro della Giustizia Paola Severino e i tecnici della maggioranza. Dopo la riunione di questa mattina, il Guardasigilli è tornata a fare il punto con i capigruppo in commissione Giustizia di Pd e Pdl Donatella Ferranti ed Enrico Costa e con quello dell’Udc, Roberto Rao. Sul tavolo del confronto c’è sempre la parte penale del provvedimento: gli articoli 13 e 14 del disegno di legge. Nel corso della breve riunione il ministro avrebbe iniziato ad anticipare informalmente la sua posizione sulle proposte di modifica per la parte penale. Ieri, in aula, era scoccata la polemica – trasversale dal Pdl all’Idv – perché il Guardasigilli aveva annunciato di voler dare i pareri direttamente per l’aula e non nei comitati ristretti. Alla fine era stato lo stesso ministro a comunicare che i pareri erano già pronti: “A me sembrava – aveva sottolineato – non modificasse i tempi e i contenuti. Se un problema è rimuovibile, io sono sempre propensa a non estremizzare. L’importante è arrivare ad una buona legge sulla corruzione. C’è una esigenza oggettiva di innovare” le norme. 

Il Partito Democratico scende in campo con le sue proposte e possibili emendamenti. L’eventuale elezione di coloro che siano stati condannati con sentenza definitiva o con sentenza non ancora passata in giudicato per reati gravi “è nulla”. Il patteggiamento della pena, previsto dall’articolo 444 del codice di procedura penale, è equiparato alla sentenza di condanna. Per i Democratici non può essere candidato chi è stato condannato con sentenza passata in giudicato e che ha subito una condanna anche solo in primo grado, ma per reati gravi come mafia e terrorismo, ma anche per concussione, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione in atti giudiziari, per scambio elettorale politico-mafioso, riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita. Sono questi, infatti, i reati considerati più gravi e per i quali non è dunque necessaria una sentenza passata in giudicato. . La norma, che riscrive l’articolo 10 del testo, prevede che le misure valgano solo per i candidati al Parlamento nazionale e Ue. La proposta, se avrà ok dell’Aula, diventerà legge mentre si dà delega al governo a riordinare la materia. Sarà candidabile chi, benchè condannato, ottenga la riabilitazione (ai sensi dell’articolo 117 c.p.). Nell’emendamento riscritto dal Pd si prevede anche che il sopraggiungere di una di queste cause di incandidabilità, e cioè la sentenza di condanna o definitiva o di primo o secondo grado per reati gravissimi, comporterà anche la decadenza dalla carica di parlamentare. Sempre nella stessa norma si dà anche la delega al governo ad adottare un decreto legislativo entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del ddl anticorruzione per riordinare la materia su incandidabilità, ineleggibilità ed incompatibilità. Il nodo incandidabilità sembra esse stato accantonato dopo l’ipotesi che il governo ponesse la fiducia sul ddl proprio perché le distanze tra gli schieramenti sembrano incolmabili.

Di parere opposto il Pdl. La sentenza passata in giudicato è “un passaggio inespugnabile” e sul quale “non possono esserci trattative” per l’incandidabilità di chi aspira ad entrare in Parlamento dice il capogruppo del Pdl in commissione Giustizia, Francesco Paolo Sisto, il deputato che ha ripresentato il cosiddetto emendamento anti processo Ruby. 

 

 

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