La sede di New York dell’agenzia di rating Standard & Poor’s è indagata dalla procura di Trani con l’accusa di manipolazione del mercato pluriaggravata e continuata. Si tratta, riferiscono le agenzia, del nuovo fascicolo-stralcio che fa seguito alla comunicazione di chiusura delle indagini a carico di 5 esponenti del’agenzia: l’ex presidente Deven Sharma, l’attuale responsabile per l’Europa di S&P’s Yann Le Pallec, e i tre analisti senior Eileen Zhang, Frank Gill e Moritz Kraemer. Questi ultimi sono stati coinvolti per aver firmato alcuni report sull’Italia che, a giudizio degli inquirenti, sarebbero stati prodotti con l’intenzione di manipolare i mercati attraverso la diffusione di notizie non vere.

L’inchiesta è partita due anni fa dopo una denuncia di Adusbef e Federconsumatori che prendeva di mira l’iniziativa di un’altra agenzia, Moody’s, responsabile di aver pubblicato un rapporto nel quale l’Italia veniva definita “un Paese a rischio”. L’indagine, si è scoperto in seguito, si è poi allargata anche alle altre sorelle del rating, Fitch e la stessa Standard&Poor’s. Sotto la lente sono finiti soprattutto i giudizi negativi espressi nei rapporti resi noti il 20 maggio e il 1° luglio del 2011 che hanno favorito la tempesta speculativa poi abbattutasi sull’Europa e sull’Italia. Pesanti anche i sospetti della Procura sul declassamento dello scorso gennaio quando S&P abbassò il giudizio sull’Italia da A a BBB+.

I sospetti degli inquirenti non si fermano però alla semplice manipolazione delle informazioni. L’idea avanzata dal procuratore Carlo Maria Capristo e dal pm Michele Ruggiero, riferiva una nota congiunta di Adusbef e Federconsumatori, è che gli analisti “non si mossero autonomamente ma risposero a un disegno, oggettivamente perseguito, di «golpe bianco» del gruppo dirigente centrale dell’agenzia, un disegno preordinato di affidare ad analisti «inesperti» il mandato di produrre analisi, un disegno non casuale quello di scegliere una certa tempistica nel diffondere i report in modo tale da influenzare l’ evoluzione politica italiana”. Un’accusa particolarmente inquietante e ovviamente ancora da dimostrare.

Standard & Poor’s è una divisione del colosso americano dell’editoria Mc Graw Hill. Tra i suoi principali azionisti, secondo gli ultimi dati disponibili, ci sono la Capital World Investors (9,26%), uno dei primi gestori indipendenti di fondi negli Usa, altre società di gestione come Vanguard (4,92%), State Street (4,62%), Oppenheimer Funds (4,23%), BlackRock (3,11%), Price T. Rowe Associates (3,01%) e Independent Franchise Partners (2,28%). A dividersi le altre quote alcuni fondi di investimento oltre alla banca statunitense Morgan Stanley (2,67%).

Nel frattempo, nella lista degli indagati è finita anche l’amministratore delegato per l’Italia di S&P Maria Pierdicchi, con l’ipotesi di favoreggiamento degli analisti stessi. La Pierdicchi era già stata ascoltata lo scorso 30 gennaio sul tema delle informazioni confidenziali alla base dei rapporti contestati prodotti poi dall’agenzia. Smentito invece da una nota ufficiale del Governo il possibile coinvolgimento nelle indagini del premier Mario Monti, un’ipotesi clamorosa avanzata oggi da Dagospia che denunciava la presenza del presidente del Consiglio nell’Advisory Board di Moody’s. Mario Monti, ha sottolineato in seguito la nota del Governo, è stato effettivamente parte del Board ma solo dal 2005 al 2009 e non, dunque, all’epoca dei fatti contestati. Insieme a lui, ha evidenziato ancora Palazzo Chigi, svolgevano il ruolo di advisor anche “Hans Tietmeyer, ex presidente della Deutsche Bundesbank; Francis Mer, ex ministro francese dell’Economia e delle Finanze; Howard Davis, ex presidente della Financial Services Authority britannica; Olle Schmidt, membro svedese del Parlamento Europeo; Leszek Balcerowicz, ex ministro delle finanze della Polonia”.

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