Una storia che ha come protagonista il branco e la sua violenza. Ma anche un ritratto dei difficili rapporti tra genitori e figli, nella fase complicata dell’adolescenza. Uno spaccato della frequente mancanza di comunicazione tra le famiglie e la scuola, e della tendenza dei genitori a fare quadrato intorno ai figli, proteggendoli anche dalle loro responsabilità.

Questa, in poche parole, la vicenda messa in scena da una pièce di grande efficacia drammatica, La palestra ore 18 di Giorgio Scianna. Dopo la prima settimana al Teatro India di Roma (dove ha debuttato il 29 maggio), lo spettacolo ha ancora due repliche nel Teatro Biblioteca Quarticciolo il 5 e il 6 giugno. La struttura perfetta del testo e la forza espressiva della parola di un autore che è alla sua prima prova teatrale (è meglio conosciuto come autore di romanzi) si unisce alla regia magistrale di Veronica Cruciani e all’interpretazione impeccabile dei quattro interpreti.

Filippo Dini, Fulvio Pepe e Teresa Saponangelo sono i genitori di altrettanti adolescenti compagni di scuola. I tre sono stati convocati dalla preside (Arianna Scommegna) nella palestra dell’istituto per discutere di una questione misteriosa. Tutta la prima parte dello spettacolo è costruita sull’attesa e sulle ipotesi che i genitori formulano, sulle motivazioni di questa improvvisa riunione.

Se all’inizio si tranquillizzano pensando alle ragioni più banali, così anche lasciandosi andare a momenti di confidenza che fanno emergere la natura dei vari personaggi, man mano che il tempo passa l’attesa si tramuta in ansia e le parole sono sostituite dai silenzi, sempre più tesi. E la tensione è tale che tutte le immagini costruite sulla scena sembrano essere esasperate, pronte per essere rovesciate da un momento all’altro. Non è un caso allora che la riflessione di Filippo Dini sulla scarsa sicurezza della palestra, che con le sue fatiscenti vetrate è un luogo poco adatto ai ragazzi, sia il preludio alla catastrofe della seconda parte. Sì perché, senza voler rovinare l’effetto sorpresa (per cui non mi dilungo sulla trama), con l’entrata in scena della preside i genitori scoprono che a rendere poco sicura la scuola sono stati proprio i loro figli.

Piuttosto che porre il problema dal punto di vista dei ragazzi, il dramma sceglie di mostrare la reazione delle famiglie, che va dall’iniziale incredulità allo sgomento di fronte alla verità, al tentativo disperato di giustificazione e protezione dei figli. Tema di grande attualità, il nodo al centro della Palestra ore 18 è il rapporto che i genitori hanno con i propri ragazzi, spesso sottratti alle loro responsabilità e quindi condannati a rimanere sempre bambini.

Ma il mondo di questi adolescenti viaggia a ritmo di suonerie telefoniche, che fanno da colonna sonora ad un’esperienza sempre più filtrata attraverso il diaframma della virtualità dei video giochi o della vita ripresa con un cellulare. Quasi per paura di «perdersi qualcosa» di quello che stanno vivendo, i tre ragazzini filmano le loro azioni, anche le più brutali. Ma è proprio il video a incolparli, innescando il meccanismo tragico.

La regia controlla sapientemente i tempi, dilatando l’attesa fino a renderla quasi insopportabile. L’esplosione della tensione tragica arriva dopo una preparazione fatta di silenzi e di una gestualità tanto  studiata da essere naturale. Un teatro emozionante e che sa parlare del presente, un teatro che vorremmo vedere di più.

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