“A professo’, semo tutti noi lì dentro”. Parliamo delle sale Snai, scommesse, bingo. Stefano, esponente della mala romana, dentro e fuori dal carcere da quasi vent’anni per questioni di droga, racconta: “Ma che no’o sai? Falliti, spiantati, arovinati, gente che nun c’ha voglia da lavora’… Vogliono li sordi facili… E poi è pieno de truffatori, cravattari che ‘o sanno e se n’approfitteno: te fanno i prestiti e poi te strozzeno”.

Mi torna in mente una vignetta apparsa sul Male poche settimane fa. Descriveva l’interno di una sala scommesse: uomini trasandati, panze di fuori, cartacce per terra. In alto a sinistra una scritta: “Svuota un carcere…” che si completava in basso a destra “…riempi una sala Snai”.

Questa è arte. Quel disegnatore è riuscito a tradurre in forma comunicabile e direi definitiva un sentimento diffuso. Quante volte passando davanti a una sala scommesse eravamo colti da quel senso di inquietudine e repulsione che non riuscivamo a esprimere. Domande che non trovavano risposte: chi è che può pensare di rinchiudersi a giocare a “tombola” (per quel che ho capito tale è, più o meno, il bingo) una calda sera di primavera? Tutti quegli uomini in piedi davanti agli schermi in mezzo a un cimitero di biglietti strappati e mozziconi di sigarette, con il piede che batte impazzito. E quelli fuori, per lo più stranieri, con birre in mano, seduti sul marciapiedi a guardare attraverso le vetrine le partite di calcio. Quasi in trance, pronti per entrare…

Allo stesso modo del carcere, dove gran parte dei detenuti prima di arrivare dentro considera il tempo dedicato a una qualsiasi forma di lavoro onesto come tempo sprecato; e il denaro come qualcosa da prendere e dar via con la velocità con cui si firma un assegno scoperto, l’acquisto di una ferrari, o una mega villa in periferia.

Come il carcere, le sale scommesse e le bische sortiscono nel cittadino che non è sfiorato da quel mondo di malavita e disperazione una sorta di effetto straniante. Come un schiaffo in faccia che ci mostra una realtà che comunque è ben radicata nella nostra società. Con cui abbiamo tutti il dovere di imparare a fare i conti. Tutti noi anzitutto. Ma, vale la pena rimarcarlo, anche i detenuti: non finirà mai di sorprendermi di quanta intolleranza ci sia tra persone che condividono la stessa triste sorte in prigione. È necessario, sempre, evitare di generalizzare. Non dimenticando che dietro la buona fede possono nascondersi i più radicati pregiudizi.

Sale giochi e bingo sono proliferati negli ultimi anni, spesso prendendo il posto di cinema, librerie, luoghi della cultura. Spazi vuoti, di un vuoto insensato ma ben segnalato da insegne enormi e luminose che invitano ad entrare in un “non luogo” spesso rifugio crudele per forme diverse di solitudine. È anche questo il frutto di una società dominata dalla in-cultura del guadagno facile, del gratta e vinci, in barba alle fatiche del lavoro e alle regole del vivere civile, dove anche i governanti, troppo spesso, si sono mostrati eccezionalmente vicini per mentalità e ammiccamenti vari alla cultura criminale.

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