Una mia grande amica, giornalista, Mariatolmina Ciriello, mi ha segnalato un episodio occorso durante un trasbordo aereo sulla tratta Capodichino-Malpensa. Dalla cronaca pubblicata qui, pare che il personale di bordo non sia nuovo ad accessi di razzismo contro i meridionali – o meglio, contro i napoletani – non appena si ode in carlinga anche solo la sfumatura dell’idioma partenopeo. Nell’ultimo episodio accaduto, la hostess, avendo redarguito alcuni passeggeri tedeschi con fare stizzito, era stata riportata ad un comportamento più garbato da una docente di lingue straniere, un’irpina, che fa la pendolare tra Avellino e Gallarate. Per tutta risposta, la hostess ha risposto piccata con una frase standard, già sentita in analogo episodio, stessa compagnia aerea, tratta differente: “Con me si parla in italiano e non in napoletano”.

Più che sottolineare la fissità di pensiero e di reazione di questi padanamente devoti assistenti di volo, nonché l’assoluta esattezza grammaticale, sintattica e mètrica del commento della docente, Donatella D’Alelio, è più divertente soffermarci sull’adeguata risposta di quest’ultima: “Guardi che potrei mandarla a quel paese in inglese, francese e portoghese, ma credo che per lei basti un va’ a cagher, che le è più congeniale.” La D’Alelio si è meritata una standing ovation ed anche io, fieramente meridionale, plaudo alla sua pronta reazione.

Ci sono, parimenti, un paio di riflessioni da fare al riguardo. La prima è che c’è un limite oltre il quale anche la pazienza (di noi meridionali) cessa di essere una virtù (la frase è di un certo Edmund Burke, io l’ho solo adottata). La seconda è che l’insistenza tutta mediatica (nel senso che si è dato troppo spazio sui media all’ideologia leghista) sulla presunta superiorità di una non meglio attestata razza celtica – la quale avrebbe reso migliore solo la parte settentrionale del nostro piccolo Paese – ha prodotto effetti perversi che si riverberano anche negli scatti comportamentali di lavoratori (quali gli assistenti di volo) la cui missione è mantenere il migliore contatto con l’utenza, tutta l’utenza. Certo, niente in confronto alle farneticazioni pluriennali di molti politici leghisti, ma quelle appartengono al folklore, come gli elmi con le corna da vacche del dio sole. Eppure gli episodi di quotidiano razzismo sono tanti, forse troppi. Per questo la pazienza non è più una virtù.

C’è un rimedio facile ed economico per ristabilire la verità: leggere la Storia (ovviamente non quella dei testi revisionati e ricondizionati da censori padani), oppure farsi raccontare da Pino Aprile (giornalista e scrittore) come fu che con i soldi del Meridione venne salvato dal dissesto il Regno sabaudo. Eppoi, diciamocela tutta, il dialetto partenopeo è una musica, una poesia e una filosofia: fa simpatia all’istante. Ve lo immaginate Dean Martin che canta That’s Ammore e Mambo Italiano in un altro dialetto? E la grande Sophia Loren, con quel suo indelebile, inconfondibile e affascinante accento, semmai avesse volato con la nostra Donatella D’Alelio, sarebbe stata redarguita anche lei? Cari assistenti di volo anti-partenopei, penzat ‘a salute, nun vi facit’ o sang’ amaro (trad: badate alla vostra salute, non vi intossicate con pensieri cattivi), pure il mitico Cazzaniga (il milanese di Così parlò Bellavista), pure il dottor Colombo (Bisio di Benvenuti al Sud) hanno imparato il napoletano. E si sono divertiti. Assaje assaje.

di Marika Borrelli

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