Grillo. Mi chiedono di dire come lo vedo. Non è facile rispondere. Perché è un gomitolo complicato da srotolare. E perché non sono sicuro da che parte tirare il filo. E poi hai sempre un po’ paura che ti scoppi in mano. Accade in un modo sempre diverso, come un “Terminator” della rete. Se esisti già e ingombri il suo orizzonte, non sei al sicuro, e non importa quanto sei o non sei colpevole di qualcosa. Nella valle di Josaphat-Grillo, l’umanità è divisa in due dall’informatica, prima e dopo, epoche, razze e nature diverse, senza piazzole di sosta e senza alcuna tolleranza. È un mondo savonaroliano di condanne, quello di Grillo. Infatti nel suo paesaggio c’è un’altra invalicabile linea di confine. 
Coloro che compaiono davanti a lui o sono i suoi (detti “i grillini”) e hanno a che fare solo con il futuro, e dunque non resta che attendere. Prima o poi, come a Parma, arrivano. O sono “gli altri”, e allora giacciono in un passato senza redenzione, colpevoli non per quel che hanno fatto (ce ne sarebbe una bella lista, ampiamente condivisibile) ma comunque scartati e gettati nello scatolone degli esclusi per essere venuti prima e senza computer. Perché ho detto “davanti a lui”?
Perché questa è immediatamente l’immagine che cogli: Grillo sta giudicando. Lo fa a tempo pieno. Ora noi sappiamo che ci sono momenti della Storia in cui un simile atteggiamento è inevitabile. Lo è nel “dopo” di qualche grande trauma o transizione o cambiamento o passaggio da uno a un altro periodo della storia.
Questa è la prima mossa strategica di Grillo: lui è nel dopo. L’impegno principale che ti deve assegnare nel dopo è il bilancio del prima. Questa mossa consente di considerare finito ciò che giudica e di chiamare tutti a un rendiconto in quanto protagonisti del prima. In questo rendiconto è difficile distinguere il meglio dal peggio.
E infatti la seconda mossa della strategia di Grillo è di non esentare nessuno che appartenga al mondo del prima. Il prima, infatti, è in sè una colpa, o comunque una zona grigia, pre-onesta e pre-informatica, che va comunque risolutamente accantonata, senza badare alla distinzione tra guardie e ladri. Cosicché non c’è nulla di arbitrario nel puntare il dito contro tutti. Può apparire ingiusto verso coloro che hanno resistito e pagato. Però accoglie il distacco profondo, divenuto rancore, di una vasta e desolata opinione pubblica.
È la intelligente intuizione di Grillo, la sua terza e più importante mossa strategica: tracci una linea e stabilisci che, di qua da questa linea, sono colpevoli tutti percheé “usati”, “vecchi” e non Informatici, dunque complici. Di là dalla linea invece c’è il futuro del quale non specifichi nulla, non devi, non c’è bisogno di perdere tempo. In sè è buono perché nuovo, è nuovo perché informatico, ed è intatto e non inquinabile perchè ciò che è informatico é popolo, informazione corretta, democrazia diretta, e dunque potere pulito e senza scorie.

Qui si potrebbe proporre la domanda che finora non c’è stata: una simile visione non è giustizia sommaria? Ma proprio la domanda ci dice che Grillo ha colto nel segno. Ha visto che, nel dopo, la giustizia è sempre sommaria per due ragioni difficili da negare: consente la partecipazione collettiva al giudizio senza tanti distinguo; e stabilisce un legame forte “del movimento che non è un partito” perché tutti coloro che vengono chiamati dal leader al processo sommario, ricevono la certificazione di essere nuovi, estranei e puliti. Se questo fosse un gioco da tavolo, si potrebbe collocare in questa casella il pacchetto delle obiezioni: se sia giusto, se non cancelli una parte della storia, se non sia un gioco troppo solitario (una sola voce le guida tutte e, se si levano altre voci, la voce-guida prontamente si sovrappone). Però bisogna tener conto di ciò che sta accadendo là fuori, in tempo reale. Tutto intorno al mondo stravagante e provocatorio di Beppe Grillo, si vede, a perdita d’occhio, un mondo di partiti, leadership e vita politica che deplorano “il grillismo” e credono (alcuni davvero e in buona fede) di essere nel territorio della buona, regolare attività politica, così come le brave persone l’hanno sempre pensata e vissuta. Le immagini, le notizie, le iniziative, persino le figure umane e le frasi dette, non sostengono questa convinzione, e infatti – in molti casi – sembrano organizzati come illustrazioni efficaci delle invettive di Grillo.

Pensate al sindaco Pd con la pistola che viene avanti celebrando, al sindaco-deputato Pd che ha giurato sulla testa della figlia immediate dimissioni, in caso di elezione,e poi, eletto, non si dimette. Pensate alle lunghe ore durante le quali i migliori partiti della Repubblica, alla Camera, hanno lavorato alacremente contro se stessi approvando la “nuova legge sul finanziamento pubblico dei partiti”, di fronte a cittadini disorientati e increduli.

In quelle lunghe e tristi sedute parlamentari, ogni articolo e ogni comma della nuova legge avrebbe potuto essere letto con la voce cattiva e allegra del comico Beppe Grillo. Infatti tutto, in questa “nuova” legge, appare (in ogni dettaglio) estraneo al Paese, al momento tragico che stiamo vivendo in Italia e in tutta Europa, alla paura e alla esasperazione diffusa, alla disperata solitudine dei cittadini. Eppure, nonostante le grida dei Radicali, di Di Pietro, di pochi altri nel tentativo di svegliare dall’ipnosi la assemblea, la votazione dell’assurdo testo per i soldi ai partiti è andato avanti fino alla fine. Che vuol dire pensare a piccoli rimedi carichi di astuzie, in momenti di pericolo estremo in cui tutti i vecchi percorsi dovrebbero essere abbandonati.

Ecco dove funziona e guadagna terreno il tribunale del popolo improvvisato da Grillo, che in altri tempi sarebbe stato criticabile perché al banco siede un solo giudice e si ascolta una sola voce. Quella voce almeno racconta gli incredibili eventi.

Il Fatto Quotidiano, 28 Maggio 2012

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