Domenica mattina alle sette, tornato in casa tre ore dopo la fuga precipitosa in strada causata dalla scossa di terremoto che ha colpito Ferrara, ho raccolto i libri e li ho risistemati nelle librerie. Mi è capitato in mano Zagreb, straordinario romanzo di Arturo Robertazzi (Aìsara, 2011), lettura appropriata in un clima surreale di disagio collettivo.

 

Tolto qualche calcinaccio dal letto ho riletto quelli che secondo me sono i brani salienti del libro: i ricordi dell’amicizia prima del conflitto armato, la presentazione del bambino cecchino, la presa di coscienza di essere carnefice e non vittima.

 

Zagreb spesso è stato presentato come una storia sulla guerra nella ex Jugoslavia, ma io credo che sia qualcosa di più. Parla di incontri, di convivenza, di disperazione, di scelte estreme. Parla dell’orrore della guerra, dell’orrore di tutte le guerre.

 

Nel romanzo emergono pochi nomi: il Comandante, la Base, la Città, Loro, la Guardia. La narrazione torna alle sue strutture elementari. La violenza è descritta in modo secco, senza compiacimento, in tonalità quasi espressioniste, in uno stile che a volte ricorda, felicemente, quello utilizzato da Ágota Kristóf in Trilogia della città di K. Zagreb è un libro bello, intelligente e con un ritmo magistrale.

 

Anestetizzati dal primo trattamento, i prigionieri furono facilmente condotti alla mensa, dove regnava fresco l’odore di morte degli ultimi quattro condannati. Li stipammo attorno al palco: stretti l’uno all’altro, cercavano di scambiarsi un po’ di calore umano per affrontare la paura che li devastava. Un gruppo dei nostri si era schierato di fronte, con le spalle rivolte al finestrone che forniva la luce del giorno, mentre io, insieme a pochi altri, li esaminavo. Stessa lingua, stessa religione, stessa faccia. Bambini, uomini e donne, vecchi. Tutti la stessa faccia e una sola espressione: terrore.

 

Mi piaceva occuparmi dei prigionieri. Da quando la guerra era iniziata li avevo guardati centinaia di volte e ormai mi sembravano tutti uguali. Non erano uomini, non più. Quello che mi appariva, invece, era una creatura informe con cento occhi e cento gambe. Ogni cella, cento occhi. Ogni cella, cento gambe. Ogni cella, un’unica Bestia terrorizzata.”

 

Il romanzo era stato presentato, alla sua uscita l’anno scorso, al Salone Internazionale del Libro di Torino, e quest’anno l’autore lo ha ripresentato all’interno della stessa manifestazione in un nuovo formato in edizione digitale: eZagreb. Un’edizione arricchita, un viaggio nella storia delle guerre jugoslave attraverso mappe, immagini, note al testo, documenti video, articoli di giornale dell’epoca e atti ufficiali del Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia.

 

Si tratta senz’altro, almeno in Italia, di un esperimento senza precedenti. Il romanzo in formato cartaceo era stato costruito utilizzando un processo inverso rispetto alla canonica costruzione di un romanzo storico. Generalmente si raccolgono dati, si consultano milioni di testi e poi si scrive la storia cercando l’attendibilità più pura. Nel caso di eZagreb l’autore riempie di realtà una storia nata come una storia di fantasia. Inoltre nei contenuti extra Arturo Robertazzi spiega le sue scelte narrative creando un contatto virtuale con i lettori, in un rapporto colloquiale diretto e senza veli.

 

Ezagreb diventa una storia che contiene altre storie. Un nuovo modo di scrittura al passo dei nuovi formati digitali.

Articolo Precedente

Tocca a noi

next
Articolo Successivo

Scuola pubblica, chi non demorde vincerà

next