Annullamento senza rinvio, con la contestuale trasmissione degli atti al gip di Milano “per l’ulteriore corso”. E’ quanto ha deciso la prima sezione penale della Cassazione in merito all’inchiesta aperta per “procurato allarme presso l’Autorita’” (articolo 658 del codice penale) a carico di Maurizio Belpietro, direttore del quotidiano ‘Libero’, per l’editoriale da lui firmato e pubblicato il 27 dicembre 2010, inerente un presunto progetto di attentato ai danni del presidente della Camera, Gianfranco Fini.

Belpietro era stato assolto “perché il fatto non costituisce reato” dal giudice per l’udienza preliminare milanese. Era stato, invece, condannato Emanuele Catino, per aver rilasciato dichiarazioni false al direttore del quotidiano sulla sua “presunta conoscenza di un progetto di attentato che doveva essere compiuto da parte di persone collegate alla criminalità pugliese ai danni del presidente della Camera, Gianfranco Fini, al fine di farne ricadere la responsabilità” sull’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Il giudice di Milano aveva assolto il giornalista ritenendolo “strumentalizzato da Catino”. La Suprema Corte, invece, ha ritenuto fondato il ricorso presentato dalla Procura contro l’assoluzione di Belpietro rilevando che “il giornalista, prima di pubblicare una notizia, ha l’obbligo professionale di accertare la verificità della stessa, tanto più se la notizia è di particolare gravità e idonea a suscitare allarme non solo nella pubblica opinione, ma anche nelle autorità preposte alla tutela dell’ordine pubblico”. 

Secondo piazza Cavour, “la colpa è del tutto evidente poichè il giornalista, prima di pubblicare una notizia, ha l’obbligo professionale di accertare la veridicità della stessa, tanto più se la notizia è di particolare gravità e idonea a suscitare allarme non solo nella pubblica opinione, ma anche nelle autorità preposte alla tutela dell’ordine pubblico”. Lo stesso Catino, registra la Cassazione nelle motivazioni, aveva raccontato ai magistrati di essersi inventato di sana pianta la “bufala” per vedere quante cose false si possono raccontare ai giornali. Ora la Cassazione dà ragione alla Procura di Milano e bolla come “del tutto illogica la giustificazione secondo la quale Belpietro non sarebbe stato in grado di compiere alcuna verifica circa la fondatezza della notizia ricevuta, poiché è di tutta evidenza che una notizia non verificabile – soprattutto se idonea a suscitare allarme presso l’autorità, non deve essere pubblicata”.

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