Dimenticate Un’altra verità, ma non la verità civile del cinema di Ken il rosso. Loach molla la rabbia per i contractors in Iraq e s’attacca alla bottiglia, pardon, alla commedia. Sempre in Concorso a Cannes e nelle nostre sale prossimamente con Bim, The Angels’ Share distilla impegno sociale e humour glaswegiano, gioventù bruciata e salvifiche degustazioni, etiliche sofisticazioni e gag doc.

Protagonista è Robbie (Paul Grannigan, sfregiato e super), un ragazzo di Glasgow che con la violenza è andato da sempre a braccetto: tanto per dire, ha ridotto in fin di vita un coetaneo reo di un posteggio troppo disinvolto. Ma Robbie non è solo questo: intelligente, sveglio, ha una ragazza, Leonie, da cui aspetta un bambino, e forse vuole davvero cambiare vita. Problema, ai parenti della fidanzata è – eufemismo – inviso, e c’è pure qualcun altro che vuole fargli la pelle: si sa, la malavita non si molla tanto facilmente. Che fare? Condannato ai lavori socialmente utili, conosce Rhino, Albert e Mo, tre “spurghi” come lui, tre neds senza futuro e senza presente. Eppure, il bicchiere è mezzo pieno: complice il loro paterno sorvegliante Harry, Robbie & Co. scoprono il significato dell’Angels’ Share, la quota degli angeli, ovvero il 2% dello scotch che evapora ogni anno da una botte.

E per quella parte che va in cielo ce n’è una che torna in terra, e si chiama speranza, se non redenzione: Robbie ha fiuto, soprattutto col naso sopra il whisky e chissà che proprio dal single malt non possa arrivare la buona novella. Con kilt, zaino in spalla e genio della truffa, i quattro vanno in missione Highlands, cercando di barattare gradazione alcoolica in solido futuro. Se “non è un trattato di sociologia – dicono Loach e il fido sceneggiatore Paul Laverty – di certo racconta un bel po’ di questa società che ormai ha raggiunto cifre impressionanti di disoccupazione giovanile: milioni di ragazzi senza lavoro né futuro. Bisogna essere dei pazzi per non capire che tragedia è nel mondo e se oggi uno ha un figlio si angoscia anche di più”.

Del resto, se le battute e i nonsense su Mona Lisa, Einstein, asini e “checkpoint Charlie situations” fanno sbellicare, Loach non scherza, fa sul serio, e già dal casting: “La mia storia – dice Grannigan – è simile a quella del mio Robbie: ero in comunità a Glasgow, è venuto questo signore gentile e mi ha scelto, cambiando la mia vita per sempre. Grazie Ken!”. E glielo dobbiamo dire pure no, perché Ken il rosso non ha smesso di lottare, col sorriso di un signore gentile e il cuore di un working class hero: “’La crisi economica è spaventosa, le giovani generazioni le più colpite. Casa, lavoro, sanità, scuola, sicurezza sociale: è ora di stabilire che queste sono le nostre priorità, altrimenti col welfare si rischia di tornare indietro decenni”. Non solo, l’humus socioeconomico è fertile perché, ammonisce Loach, “l’estrema destra possa prendere il sopravvento. Giorno dopo giorno i ricchi sono sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri, ed è tutto pianificato: sulla crisi i pochi si arricchiscono”.

Eppure, anche noi come lui vogliamo ancora pensare, almeno sperare che il cinema possa cambiare il mondo. Al grido: Yes We Ken!

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