Scattano le manette ai polsi del sindaco di Pantelleria (Trapani) Alberto Di Marzo, eletto nel maggio del 2010. L’accusa è di corruzione aggravata e ora si trova agli arresti domiciliari. Subito dopo essersi seduto sulla poltrona da primo cittadino, nel giugno scorso, ha ricevuto, secondo gli inquirenti, 10mila euro in contanti e gioielli per il valore di 800 euro da un imprenditore edile di Alcamo molto attivo sull’isola sia nell’aggiudicarsi appalti, sia come gioielliere. Questi sono solo una parte di una tangente stimata attorno ai 40mila euro, mai saldata, che il gioielliere ha corrisposto per fare assumere il figlio dal Comune, sebbene non ve ne fosse nessuna necessità. 

Il giovane, un ingegnere idraulico, nell’agosto del 2011 viene effettivamente assunto, ma, pare, senza sapere delle “pressioni” del padre. Poi nell’agosto del 2011 riceve contestazioni disciplinari e il padre nel timore di un licenziamento, decide di rivolgersi alla magistratura presentandosi al procuratore della Repubblica di Marsala, Alberto Girolamo Di Pisa, e al sostituto Bernardo Petralia. Ai magistrati racconta l’episodio di corruzione.

Di Marzo non è uno sconosciuto né nella politica locale né per gli investigatori: è stato sindaco di Pantelleria fino al 23 settembre 2002, quando fu arrestato con l’accusa aver compiuto estorsioni a danno di imprenditori in un contesto dove, secondo la Squadra Mobile di Trapani, “un gruppo di potere usava metodologie di tipo mafioso” per gestire l’isola. Con lui sono stati arrestati gli imprenditori Antonino ed Antonio Messina, padre e figlio, accusati, oltre che di estorsioni, anche di minacce, detenzione di due kalashnikov e avere commesso un attentato ai danni del tecnico del Comune di Pantelleria Giuseppe Gabriele e l’ex consigliere comunale di Paceco (Tp) Pietro Leo. Il sindaco fu condannato in primo grado a 3 anni e mezzo, poi fu assolto in appello.

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