Andando a scuola, ogni mattina, passo davanti a un’edicola. Ultimamente le locandine dei giornali, soprattutto in riferimento alle questioni di Imperia, sono piuttosto gustose: ora l’arresto del potente Caltagirone davanti al Comune, ora le intercettazioni con Scajola che dà del cretino al sindaco, ora le indagini sul porto con l’arresto di molti funzionari, ora le dimissioni del sindaco Strescino. Il Ponente ligure ribolle da quando la costruzione di porticcioli turistici ha scatenato i grandi interessi imprenditoriali, politici e mafiosi: a Ventimiglia è stato sciolto il consiglio comunale per infiltrazioni mafiose e il porticciolo in costruzione è fermo; a Bordighera idem; a Imperia è saltato il sindaco, con lotte intestine nella coalizione che guida la città da vent’anni e che si era “votata” anima e corpo alla grande impresa del porto (“il più grande porticciolo turistico del mediterraneo”!)

Il sapore del caffè si mischia ancora con l’amaro di tutte le ore spese, nel comitato “Un altro porto è possibile” di Ventimiglia, per informare i cittadini su ciò che si preparava ad accadere al loro litorale; ore spese quasi invano, e che comunque non sono servite a limitare i danni originati dalla tristemente nota delibera della giunta Burlando con cui si è dato il via, semplificando regole e permessi, ad una drammatica e insensata cementificazione della costa ligure e agli appetiti criminali.

Entro in classe ancora con ‘sto groppo in gola; molti alunni hanno ancora le facce sognanti, altri dormono per davvero; Raideri ha il collo della giaccavento che gli arriva alle narici e le mani in tasca, sembra una tartarughina che guarda nel vuoto. Alcuni arriveranno da qui a dieci minuti, con le corriere dalle vallate.

Dalle finestre della classe, in fondo, si vedono le cime degli alberi delle barche; poco più in là il cantiere, i capannoni abusivi di cui parlano i giornali, gli scandali. Ho il diritto di risvegliare i miei ragazzi a ciò che accade lì fuori, di spiegar loro come si sta gestendo la loro città, il loro futuro? O, forse, ho il dovere di farlo?

Martedì scorso, al Vieusseux di Imperia, si è creato lo stesso cortocircuito. I ragazzi di una quinta presentavano i risultati di una ricerca sulla qualità dell’informazione ricevuta in merito alla vicenda del porto. Una ricerca, ha tenuto a precisare la professoressa dei ragazzi, iniziata prima che scoppiasse la bomba, prima degli arresti e del disvelamento degli scandali e che non aveva la minima intenzione di addentrarsi nella questione “politica”. Così, quando l’atmosfera si è fatta inevitabilmente elettrica (in sala c’erano parenti di inquisiti, ex assessori dimissionati, consiglieri di opposizione inferociti), quando son cominciate a volare reciproche accuse, la professoressa ha invitato tutti a proseguire la discussione altrove, in luogo più consone di una scuola. Persino il giornalista presente, Ferruccio Sansa, che avrebbe ben potuto addentrarsi negli aspetti significativi della vicenda, che avrebbe ben potuto spiegare i meccanismi corruttivi, si è sentito in dovere di misurare le parole aderendo, infine, probabilmente con sollievo, all’invito della professoressa.

Eliminare la “politica” dalla scuola è stato sempre un sogno per qualcuno. La Gelmini, ultima ma non certo più illustre esponente di questa corrente di pensiero, non ha perso occasione di fustigare i professori che scambiano la cattedra per un palco da comizio; e ancora pochi mesi fa’ il famigerato Fabio Garagnani, deputato Pdl già famoso per essersi schierato contro le celebrazioni della strage di Bologna, proponeva di inserire nella riforma della scuola una postilla che desse la possibilità di sospendere i professori troppo politicizzati.

Ma è far politica cercare di far capire agli studenti ciò che sta accadendo nella loro città, a pochi metri dalla scuola? E’ un comizio se li si cerca di preparare alla complessità del mondo che li attende?

Credo che la risposta, la peggiore, sia venuta dall’attentato di Brindisi, da quelle tre bombole di gpl esplose non solo davanti alla scuola Morvillo Falcone ma in tutte le scuole d’Italia, nei nostri corridoi, nelle nostre aule. La politica, quella sporca, quella da cui qualcuno tenta di preservare i nostri ragazzi, prima trasformandoli in bamboccioni e poi accusandoli di esserlo, non chiede il permesso per entrare. Anche nella scuola.

Tanto vale cercare di preparare i nostri giovani a ciò che li attende là fuori. O no? 

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