Stando a quanto scrive il quotidiano Le Monde, «per i lettori, i telespettatori e gli elettori, i giornalisti sono stati uno dei più grandi motivi di indignazione durante la campagna elettorale». In effetti, anche un occhio meno abituato al sistema mediatico d’Oltralpe si sarebbe accorto di come alla vera e propria campagna elettorale, se ne sia affiancata una seconda: quella dei media. Tutti, rigorosamente all’unisono, a sostenere i due candidati più “forti”: Hollande, per la quasi totalità della stampa di sinistra (pur essendoci almeno altri tre candidati della stessa parte politica), e Sarkozy (più timidamente) per quella di centrodestra, con l’obiettivo comune e sistematico di eliminare completamente le alternative meno “titolate” (dai partiti trozkisti ai verdi). Mai come durante questa campagna elettorale si è evidenziato lo stretto legame tra giornalismo e potere in Francia, tanto che, a questo punto, viene da chiedersi a cosa serva il primo turno.

Ma andiamo con ordine. Già nel 2010, i media hanno letteralmente “imposto” ai francesi di “amare” Dominique Strauss-Kahn. Pur essendo un uomo che, a rigor di logica, con la sinistra aveva poco a che fare, l’ex leader del Fmi è stato prima puntato, poi corteggiato e pubblicizzato dai media, fino ad essere proposto come sfidante di Sarkozy alle presidenziali, un anno prima delle primarie socialiste. Canal+ gli dedica un documentario (“Un anno con DSK”) in cui in pratica lo si filma anche in bagno, i talk show televisivi lo ospitano non appena ne hanno l’occasione facendogli le fusa, e la stampa (senza distinzione di credo politico) lo sbatte quotidianamente in prima pagina. E non di certo per criticarlo. Uomo potente e marito di una delle più famose giornaliste francesi, Anne Sinclair (oggi direttore della versione francese dell’Hufftington Post), non è più un mistero che piacesse molto ai media francesi. È lo stesso Maurice Szafran, direttore di Marianne – settimanale che si pone ancora più a sinistra del Nouvel Observateur (che a sua volta corrisponde al nostro L’Espresso) – a confessarlo in un documentario belga autoprodotto sul trattamento mediatico della campagna elettorale francese: «DSK è stato un candidato della stampa: piaceva anche agli editorialisti di destra perché rappresentava una sinistra in linea con i loro interessi».

Poi lo scandalo del Sofitel ha cambiato le carte in tavola. Fatto fuori DSK, i media hanno dovuto trovarsi un nuovo “protetto”. Ed ecco che comincia la campagna elettorale per François Hollande, che «la stampa ha ritenuto da sempre molto simpatico, piuttosto colto e in generale migliore rispetto a Martine Aubry», dice Maurice Szafran. Dato per spacciato a un anno dalle primarie socialiste (con un misero 5% di preferenza nei sondaggi), l’attuale Presidente della Repubblica è stato portato in trionfo a suon di titoloni (spesso poco oggettivi) su tutti gli organi di stampa. È emblematico vedere come Nicolas Demorand, direttore di Libération (quotidiano vicino al partito socialista) attacchi in maniera virulenta il “compagno” Mélénchon, screditandolo gratuitamente durante una diretta radiofonica.

Si arriva così al primo turno delle presidenziali. Poco, quasi inesistente, lo spazio dedicato ai tanti candidati che per presentarsi hanno dovuto lavorare sodo per portare a casa le 500 firme di sindaci eletti in Francia al fine di potersi presentare alle presidenziali. I media hanno letteralmente annientato la “concorrenza”, ridicolizzandola in diretta, come se si fosse già al secondo turno. Uno dei teatri dello scandalo è stato il seguitissimo Grand Journal su Canal+, una sorta di Porta a Porta d’Oltralpe (ma più divertente). Il loro Bruno Vespa si chiama Michel Denisot (caro amico di Sarkozy). Tutti i candidati minori che si sono avvicendati sul palco – più o meno vicini alla destra che fossero – sono stati massacrati: dal poco conosciuto Jacques Cheminade, definito in diretta da Jean-Michel Apathie (uno dei giornalisti politici più seguiti in Francia) come «il prototipo del candidato inutile», all’altrettanto poco noto Nicolas Dupont-Aignan, chiamato ironicamente “gollista tascabile” o snobbato quando parlava della necessità di uscire dall’euro (soluzione cara all’80% degli operai francesi), o ancora zittito quando si è azzardato a chiedere ai grandi giornalisti seduti in studio quanto guadagnassero e a sottolineare quanto questi fossero lontani anni luce dai veri francesi, «quelli che soffrono».

E forse i veri francesi di questo se ne sono accorti. Non è un caso, infatti, che i media siano stati i grandi sconfitti del primo turno, visto che la notizia in quel caso fu la vittoria dei tanto snobbati partiti anti-sistema: quello di Le Pen e quello di Mélénchon. Quanto alla vittoria di Hollande – a mio parere il più cullato dai media tra i due finalisti, – non credo di essere il solo a sostenere che la sera del 6 maggio scorso, durante la “presa della Bastiglia”, fossero di più quelli contenti di essersi liberati Nicolas Sarkozy, che non i fan del nuovo presidente. Ma non è una novità che ai media piaccia vincere facile.

Guarda il documentario (in francese) “DSK, Hollande, etc.

di Federico Iarlori

parigi@ilfattoquotidiano.it

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