Chiedeteci quello che volete: tasse, vassallaggi e balzelli. Mettete l’imposta sulla prima casa, sulla seconda moglie, sulla cuccia del cane. Epurateci, esodateci, licenziateci. Metteteci in cassa integrazione, in prepensionamento senza pensione, in aspettativa del sonno eterno… ma non costringeteci a farci carico della voracità dei figli scemi, della disonestà dei loro padri: la paghetta di Renzo e Riccardo, il naso di Sirio, gli alimenti alla nuora divorziata, le multe, i viaggi, le discoteche, la scuola della moglie, il sindacato dell’amica… Abbiamo pagato caro, abbiamo pagato tutto.
 
La Padania è arciladrona, ma è riuscita a mantenersi “cafona”: Bossi “the boss” ha rubato e lasciato rubare, sempre restando fedele al suo stile country-pop. Scandaloso eppure accuratamente mediobasso: la famigliola col figlio tonto che non riesce manco a prendere un diploma, la moglie che spinge il figlio tonto nell’azienda di famiglia perché al padre è venuto un colpo e non si sa mai, meglio mettere quattro ormoni giovani a tenere la postazione. Peccato che un partito non è un’azienda. I soldi che i suoi figli hanno sprecato, Bossi non se li è guadagnati producendo insaccati. Glieli ha gentilmente concessi lo Stato. E lo Stato siamo noi.

Il Fatto Quotidiano, 18 maggio 2012
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