Fuori piove, piove quella pioggia londinese sottile che rende tutto grigio e triste. Dalle grandi finestre della National Gallery dove mi sono rifugiata, vedo che la piazza è coperta da un vapore, come se una nuvola strisciante avesse osato invadere le strade della città e in Trafalgar Square finalmente si distendesse.

La National Gallery è gratuita. Chiunque può entrarvi e passeggiare per le sale, asciugarsi i vestiti umidi e sedersi su una panca di legno davanti a un quadro. Le tele di artisti italiani sono moltissime e quando leggo la provenienza scopro che quasi tutte sono state acquistate dalla Galleria londinese nella seconda metà dell’Ottocento: mi spiega un amico inglese che in quell’epoca due antiquari britannici battevano l’Italia in lungo e in largo e acquistavano per pochi soldi dalla curia e da famiglie private, tavole di Duccio da Boninsegna, tele di Paolo Uccello, Bellini, Giorgione, Raffaello, Michelangelo, Tiziano e tanti altri. Quindi rivendevano alla Galleria i loro preziosi acquisti per cifre considerevoli. Il cuore della collezione è dunque, italiano.

Un moto di fastidio per il furto ai nostri danni si confonde con la fierezza di appartenere a una terra che ha prodotto artisti dagli incantati cieli, capaci di ritratti finissimi, di luci che rimbalzano dai mantelli e di volti dalla grazia squisita.

Noto davanti ad alcune opere delle scolaresche. Davanti a Bacco e Arianna di Tiziano c’è una scolaresca spagnola; i ragazzi sono seduti per terra e il professore racconta qualcosa in modo animato. Più composta è l’insegnante francese che parla ai suoi studenti liceali della battaglia di San Romano di Paolo Uccello. Più avanti, dei giovani tedeschi ascoltano la spiegazione di un quadro del Veronese che raffigura una delle virtù dell’amore. Cerco con attenzione una scolaresca italiana, ma non ne trovo.

Affronto la pioggia e il vapore che persiste e mi infilo nella metropolitana con la sensazione di essere stata sconfitta. Ripenso a una delle mie figlie che prima che partissi mi ha detto: “Mamma alla fine di maggio andiamo in gita”. Ha 16 anni e frequenta il primo liceo classico.“Bene, che bello e dove vi portano?”. “Al Parco regionale dell’Uccellina, vicino Grosseto… ma secondo te ci devo andare? Ci siamo già andati quando ero alle elementari”. “Ma perché non vi portano agli Uffizi? E’ anche più vicino”. “Bho, non lo so. Posso non andare alla gita, allora?”.

Mentre la metropolitana mi porta alla Tate Modern, ripenso a quegli studenti silenziosi seduti sul pavimento di legno della National Gallery e mi dico che all’antica depredazione si aggiunge una moderna ingiustizia compiuta ai danni dei nostri studenti; ma forse no. Forse fecero bene quegli antiquari a portare in Inghilterra i nostri capolavori, noi non ce li meritiamo.

Uscita dalla metropolitana sono andata a vedere la mostra di Damien Hirst, ho visto il suo squalo in formaldeide e la testa di mucca mangiata dalle mosche. I puntini e i collage fatti con le ali delle farfalle, le vetrine della farmacia, le luccicanti file di diamanti montati su tre enormi scaffalature a specchio. Per fortuna nella sala di sopra, sempre alla Tate Modern c’era la mostra di un italiano geniale, un uomo le cui idee erano così tante e potenti, che si è rappresentato in bronzo con una testa fumante: Alighiero Boetti. Arte Povera; niente diamanti, solo arte. L’allegria mi ha invaso il cuore.

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