Da qualche settimana la Cna di Reggio Emilia ha diffuso una campagna affissioni che allude ai numerosi suicidi di imprenditori avvenuti in Italia negli ultimi mesi, e li accompagna con queste parole:

«Credevo di investire nella mia azienda. Ma lo stato mi ha investito dei suoi mancati pagamenti. Un’impresa senza liquidità è un’impresa senza futuro»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

oppure: «Credevo di poter volare. Ma la mia banca mi ha tagliato le ali. Un’impresa senza credito è un’impresa senza futuro».  

 

 

 

 

 

 

Mi domando, però, a chi e cosa giovi. Trovo infatti che quelle immagini e parole siano non solo inutili, ma addirittura controproducenti: 

1. Penso anzitutto agli amici, parenti e conoscenti delle persone che si sono suicidate: come possono sentirsi di fronte a quelle immagini terribili? Li aiuta a elaborare il dolore vedere qualcosa che un po’ somiglia – banalizzandolo e massificandolo – a ciò che li ha colpiti da vicino? Penso di no, anzi il contrario: il dolore torna più acuto di prima.La campagna è sicuramente d’impatto e ha fatto discutere molto, sia in rete sia sul territorio.

2. Penso agli imprenditori che oggi si trovano in difficoltà tali da sentirsi disperati: se mai stessero pensando al suicidio, quelle immagini potrebbero forse fermarli? Non credo proprio: diversi studi psicologici mostrano al contrario che fattori di emulazione possono, in certi contesti e su certe persone, contribuire anche a scelte così estreme.

3. Penso a chiunque passi per strada: è giusto che CNA contribuisca a diffondere la banalizzazione che la crisi, i problemi, l’angoscia siano “tutta colpa” dello stato e delle banche? Ma non è certo scaricando la colpa su altri che si trovano soluzioni concrete per la propria impresa e la propria vita.

A questo proposito invito a leggere due riflessioni: quella di una cittadina di Reggio Emilia, che mi ha segnalato la campagna, e quella di Alessandro Berti, docente di economia all’Università di Urbino.

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