“Che bel romanzo”. Così è stata intitolata la mostra che cade a cinquant’anni esatti dalla pubblicazione de Il giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani. L’inaugurazione è stata tra gli eventi principali che hanno costellato la Festa del libro ebraico in Italia. E Ferrara ha scelto questa ricorrenza per ricordare uno dei suoi scrittori più celebri. Il titolo, il luogo, il contenuto, tutto ricorda lo scrittore che raccontò la sua città natale del secondo Novecento.

La raccolta di foto e recensioni, operata dalla curatrice Raffaella Mortara tra trecento articoli comparsi in quegli anni su giornali e riviste italiani, è allestita nella palazzina di via Piangipane che oggi ospita il Museo dell’ebraismo italiano e della Shoah. E che settanta anni prima era il carcere che vide tra i suoi ospiti proprio l’autore del “Giardino”, rinchiuso per attività antifascista nel 1943.

Il titolo dell’esposizione è il risultato di una felice nemesi letteraria. “Che bel romanzo” sono le ultime parole del protagonista del libro, che rinuncia definitivamente alla sua amata Micòl. In questa trasposizione voluta dalla Fondazione Meis, invece, Ferrara non vuol rinunciare a ricordare “un grande rappresentate del mondo letterario ed ebraico come Bassani”, per usare la definizione della stessa curatrice.

La mostra, che resterà aperta fino al 17 giugno, rende il suo cinquantennale tributo a quello che fu “un successo editoriale e letterario straordinario”, spiega Raffaella Mortara. Appena pubblicato, il “Giardino” vendette duecentomila copie in dieci mesi. Le recensioni di Soldati, Arbasino, Pasolini, Calvino ne decretarono subito il futuro da “classico della letteratura italiana”. La stessa collana degli oscar della Mondadori lo scelse per celebrare il proprio numero mille.

Se la critica letteraria fu estremamente favorevole, altrettanto non si poté dire della esegesi politica, alla quale l’ex direttore della rivista “Botteghe Oscure” e redattore di “Paragone” non poteva sottrarsi. Troppo sentimento e poco storicismo (nonostante si parli della vita delle famiglie ebree sotto le leggi razziali) per farla breve. Non furono rose e fiori nemmeno con la riduzione cinematografica firmata da Vittorio De Sica (di quel film sono esposte foto di scena messe a disposizione dal protagonista della finzione cinematografica, Lino Capolicchio), a proposito della quale Bassani parlò di “tradimento”. Anche se alla fine il film del declinante De Sica vinse un orso d’oro a Berlino (1971) e un Oscar come miglior film straniero (1972)

La rassegna ferrarese sorvola su questi aspetti per concentrarsi sulle grandi penne del giornalismo e della letteratura italiana che decretarono il successo del libro. Articoli e saggi che si alternano a fotografie e interviste televisive per ricostruire un interessante spaccato di storia del nostro paese. Spunta tra una parete e l’altra, anche la riproduzione dello studio romano di Bassani, con la fedele macchina da scrivere. Parte della mostra è dedicata anche al pubblico che contribuì materialmente al trionfo dell’opera. Un pubblico che gremiva i teatri per conoscere Bassani e sentir parlare di Micòl, la reale o immaginaria Micòl, che “spicca come un fiore grazioso – scrisse in una delle recensioni esposte Oreste Del Buono –sull’orlo di una catastrofe Mondiale”.

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