Ho solo vent’anni e non ho avuto la fortuna di leggere ciò che scriveva Montanelli quando ancora era in vita. Allora ho recuperato il tempo perso e basta un solo aggettivo per descrivere il suo giornalismo: controcorrente. Come l’omonima rubrica del suo “Giornale”, il quotidiano da lui fondato dopo l’abbandono al Corriere della Sera nel 1974.

Un primogenito di carta e inchiostro che crebbe per vent’anni sotto una guida sempre disubbidiente e mai accondiscendente: fino a quando nel 1994 non si congeda dal suoi lettori. “Della nostra ‘linea’ non abbiamo da cambiare una virgola. Nemmeno i nostri amici politici si facciano illusioni […] Nelle nostre pagine si respirerà, come sempre, il più grande rispetto per le Istituzioni, ma mai l’odore del Palazzo, da chiunque abitato” scriveva il 12 Gennaio 1994. Così viene al mondo una secondogenita, “La Voce”, un omaggio al suo maestro Giuseppe Prezzolini. Una vita breve ma intensa: Montanelli non si fece ostacolare dallo scorrere del tempo, anzi forse fondare un giornale all’età di ottant’anni era un modo per ingannarlo. La sua lucidità era la stessa di sempre: a rileggerlo oggi l’Italia sembra essere rimasta immutata, ancora intorpidita dal “vaccino” (come lui l’aveva definito) dell’avvento berlusconiano che ci ha addormentato per vent’anni. E’ stato un profeta per molti versi perchè conosceva a fondo l’Italia e gli italiani: questo nostro Belpaese che ha molti rimpianti e alcuni rimorsi, ma poco orgoglio e nessuna memoria, diceva. Ha commesso degli errori di valutazione, ma non ha mai esitato ad ammetterli: caratteristica rara nella stampa di oggi.

Quando vede morire anche la Voce è un colpo duro, ma non rinuncia alla sua tenacia e incoraggia i suoi giornalisti di non mollare: “Difendetevi!” l’ultima esortazione. La fine della sua carriera lo vede tornare al Corriere con la rubrica di chiusura “Le stanze”: righe su carta che danno l’idea di uno spazio fisico sospeso; una stanza con due sedie, una su cui siede Montanelli e l’altra dove ad uno ad uno prendono posto i cittadini desiderosi di un confronto e consapevoli che non gli sarebbe mai stato negato.

Indro Montanelli è stato tutto questo e molto di più. Cominciava a grattarsi non appena gli sfiorava il pensiero che qualcuno potesse accovacciarsi ai piedi di qualche potente. Gli dava fastidio far parte della massa: quando tutti stavano da una parte lui automaticamente doveva trasfersirsi in quella opposta. Un’informazione imparziale, obiettiva, dissacrante: non per questo priva di opinioni personali . La voce dei fatti che parlano da soli.”Una stampa che rinuncia alla critica del Potere ne diventa fatalmente complice”, scriveva. Questo mi ha insegnato Indro Montanelli. Che solo grazie alla verità si può essere liberi di scegliere. Anche di scegliere sbagliando, ma di scegliere in piena autonomia e consapevolezza. E la verità non ha padroni: il giornalista deve essere fedele solo a questa e ai lettori che ne prenderanno coscienza. A loro e a nessun altro.

Valeria Grimaldi