“Sig. Montanelli mi sono rotto una caviglia, può aiutarmi? Lei è Montanelli, vero?” Fu così che una gelida mattina del Febbraio 1973 dalla vetta del monte di Portifino aggrappandomi a lui raggiungemmo la mia macchina e andammo al pronto soccorso dell’ospedale San Martino. Ogni tanto andavo a correre per quegli scoscesi sentieri, c’ero affezionato. Montanelli, invece vi scarpinava perché stava preparando un servizio giornalistico su una probabile strada che avrebbe dovuto congiungere Portofino a un paese vicino,San Sebastiano.

Gli raccontai il mio amore per quel monte. Nel 1943 quando avevo 2 anni, mia mamma, mio papà ed io, da Livorno, la nostra città natale, per l’incalzare della guerra, ci trasferimmo a Genova dalla zia materna. Il marito era militare in Africa. Ma mio mio papà non stette con noi, andò sui monti a fare il partigiano. Fu su uno di quelli, il 21 Febbraio 1945, proprio il monte di Portofino che il mio babbo, una mattina nevosa, mentre tagliava la legna, veniva crivellato di colpi da fucile da due camice nere. Non erano ferite mortali e lui morì il giorno dopo. Questo è quello che raccontarono i contadini che lo ospitarono e aggiunsero che se ci fosse stata una strada forse il mio babbo si sarebbe salvato. In quello stesso giorno il marito di mia zia che era confinato in un campo di concentramento in Somalia veniva fucilato per un tentativo di fuga.

Ecco, oggi il 1° di Maggio del 2012, 6 giorni dopo la Festa della Liberazione , su RAI Storia, mentre mi preparo il pranzo, per la prima volta,casualmente, vedo “Montanelli Portofino 1973”. Guardo le sue interviste ai sindaci di Portofino, Santa Margherita, Camogli e Rapallo. Quella strada è opportuna? Chiede lui. E la “Rapallizzazione?” Cioè la cementificazione, la speculazione edilizia, non ci hanno insegnato nulla? Rivedo la sua passione, la sua puntigliosità, il suo logico incalzare gli interlocutori. E poi prosegue con i contadini, che sostengono una cosa ma ne pensano un’altra. Perché vogliono conformarsi al pensare comune e mantenere il loro precario equilibrio sociale secolare. Infine, l’ultimo intervistato. Il presidente dell’Ente Autonomo monte di Portofino. E’ grazie a quell’istituto,malgrado le pressioni di ogni genere, che fino a quel momento il monte ha preservato la propria integrità.

Rivedo la mia vita. La scuola, la lunga precarietà dei vari lavori che ho fatto conclusasi con un lavoro che ho amato fino a quando sono andato in pensione. Ho lavorato nel porto di Genova, controllavo e registravo le merci che venivano imbarcate e sbarcate dalle navi. Quanti scalandroni di nave ho salito. Con quanti capitani, ufficiali e marinai ho parlato e a volte disputato. Ho parlato in inglese, italiano e spesso in genovese. Sì, da adulto ho voluto imparare il dialetto della mia città adottiva che è nel mio cuore così come lo è la Toscana. E poi una moglie…Ma ripenso alla mia conoscenza di Montanelli. Ho letto soltanto 4 delle decine di libri che ha scritto: Storia dei greci; Storia di Roma; Il Millennio; Il Novecento. Queste sono le conoscenze fondamentali della storia italiana che ho acquisito. La sua limpida prosa mi ha aiutato a capire l’Italia, gli italiani e me stesso.

Ripenso a Portofino e a quando Montanelli al pronto soccorso dell’ospedale di San Martino si accomiatò da me. E alle sue ultime parole.

“Mi spiace per il tu babbo e per il tù piede. Una strada vi sarebbe stata utile. Ma a me quella strada un mi garba e farò tutto il possibile perché un si faccia”.

E quella strada a tutt’oggi un s’è fatta.

Gianni Bertini