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Lo chiamavo fascista, poi diventai adulto

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L’età adulta porta a riconsiderare le opinioni giovanili, mettendo in crisi le opinioni consolidate e rifuggendo gli stereotipi. Una prova me l’ha offerta, ignaro, Indro Montanelli. Noi, giovani liceali sessantottini, allora lo rifuggivamo con altezzosa tracotanza, dedicandogli convinti l’epiteto di fascista.

Negli ultimi tempi ho deciso di rispolverare il mucchio di sue Storie acquistate con poca convinzione anni prima e lasciate decantare sulla libreria. Quella d’Italia, ma anche quella di Roma e dei Greci. E così, tra curiosità crescente, ho cominciato a leggerle scoprendo via via una mente fertile ed una mano quanto mai felice. Senza annoiare, gli avvenimenti e gli uomini scorrono leggeri, seppure ben delineati ed efficacemente raccontati.

C’è il giornalista prima che lo storico, un cronista puntuale e distaccato. Solo qua e là affiorano le sue convinzioni, conservatrici eppure anticonformiste, sicuramente intrise di liberalismo, ma senza inchini al capitalismo.

Un narratore critico ed arguto che ha avuto sempre l’intelligenza, la forza ed il coraggio di non schierarsi mai, spirito libero in una Italia che si è andata sempre più omologando.

Ora ci mancano le sue prese di posizione, quasi sempre controcorrente, mai indulgenti verso i potenti, sempre lucide e carismatiche. Discutibili forse, ma mai ovvie.

Assieme a lui abbiamo perso i tanti Biagi e Bocca che hanno fatto la storia del giornalismo italiano e che, raccontando con chiarezza e semplicità il nostro paese, ci hanno aiutato a crescere inducendoci a riflettere.

La frase che meglio caratterizza il suo stile diretto e stringato l’ho trovata in una sua introduzione: “Le prefazioni si leggono solo quando sono brevi, anzi fulminee”.

Mariano Ferrini  

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